Quella mafia che intasca il reddito di cittadinanza Tra sfarzo e ville di lusso. «La piscina la facciamo?»

«La piscina qua davanti, che dici?». In effetti, con oltre 800 metri quadrati di terreno a disposizione, c’è l’imbarazzo della scelta su dove costruire abbellimenti vari e spazi relax per la famiglia. E dire che, prima di tutti quei lavori di ristrutturazione, di quei marmi e quei graniti pregiati, dei giardini e delle piscine, quella di via Pertini a Ficarazzi era solo una casetta in prefabbricato di un vano, cucina, due wc, disimpegno e portico, comprata a 37mila euro. Un proprietà di poco valore, insomma. Che però Nicolò Giustiniani sognava di trasformare in una villa di lusso. Non è il primo e non sarà nemmeno l’ultimo che si imbarca in un investimento simile, nulla di strano. Se non fosse che lui è, per gli inquirenti che lo hanno arrestato ieri, il luogotenente dei fratelli Marino, anche loro in manette con l’accusa di essere i vertici della famiglia mafiosa di Roccella. Nonché quelli che avevano messo le mani su un nuovo business dalle maxi entrate: quello degli spaccaossa*, truffe alle assicurazioni condite di finti sinistri con disperati disposti a farsi letteralmente spaccare le ossa per guadagnare qualche soldo. Salvo poi essere a loro volta truffati dagli stessi spaccatori cui si affidavano. E, successivamente, pure dalla mafia che aveva fiutato l’affare.

Ci sarebbe tutto questo, sulla scorta delle indagini, dietro ai fiumi di soldi in contanti con cui Giustiniani avrebbe pagato ogni lavoro per trasformare quel prefabbricato in una villa di lusso. Che, potenzialmente, poteva diventare davvero una reggia. Il progetto, infatti, includeva la possibilità di acquistare il terreno accanto, sul quale edificare una nuova costruzione che avrebbe dovuto avere ben cinque camere da letto, una zona soggiorno, una grande cucina interna e una esterna, una piscina con idromassaggio, impianto di acqua calda e luci colorate, nonché un nuovo giardino per abbellire il terreno intorno all’immobile. Di fatto, però, non è Giustiniani in realtà che acquista il primo prefabbricato, ma la sorella, versando in tutto quattro assegni fino a coprire la cifra necessaria. Riesce a mettere insieme quei soldi, malgrado lei e i genitori con cui vive sopravvivano con circa seimila euro lordi annui di pensione civile, l’unica entrata di quella famiglia. Da dove vengono tutti quei soldi, allora? È la stessa domanda che gli inquirenti si sono posti per il fratello Nicolò, che oltre a trasformare catapecchie in regge amava spendere grosse somme per acquistare diversi veicoli. Dispone, insomma, di una «notevole liquidità economica», per dirla con le carte dell’indagine.

Eppure, anche lui come la sorella non sembrerebbe passarsela troppo bene. Almeno a giudicare da dichiarazione dei redditi ed entrate documentabili. La sua è «una situazione reddituale di totale incapienza, tale da far apparire un’assoluta mancanza dei mezzi minimi di sussistenza». A fronte invece di «una vistosa disponibilità di risorse non tracciate e certamente riconducibili all’attività criminosa». Dichiarava insomma zero, ma per le mani gli passavano in realtà davvero fiumi di soldi. Quelli con cui poteva permettersi le belle case, le belle auto, la bella vita. Tutto senza dichiarare nulla, ovviamente. Nella realtà, infatti, doveva continuare a reggere la parte, quella che – sulla base delle sue inesistenti entrate -, lo vedeva sull’orlo della sopravvivenza. Tanto da chiedere e ottenere, per conto della moglie, il reddito di cittadinanza. Del resto, come negarlo a una famiglia che (apparentemente) non percepisce nulla? La consorte infatti intascava 922 euro al mese di reddito, che non bastano neppure per comprare quella tv da 62 pollici che la donna vuole a tutti i costi mettere nell’abitazione o quel camino di ultima generazione. Mentre un giorno sì e l’altro pure discuteva al telefono con gli operai degli abbellimenti del villino, tra faretti in gesso e controsoffitti lisci. E dire che il marito, di quei 922 euro praticamente regalati dallo Stato si lamentava pure, deluso com’era dell’esiguità della somma. Ma ci pensava la moglie a consolarlo, quella somma era più di quanto ci si potesse aspettare considerati «i soldi in banca, eh…macchina intestata, motore intestato».

«Se tu domani pomeriggio sei libero e puoi salire, io ti faccio il disegno», diceva per telefono a un operaio. Tanto di tempo libero ne aveva, la signora. E lo spendeva, sui riscontri delle indagini, soprattutto per progettare ogni angolo e ogni dettaglio di quella casa. La coppia, del resto, «non badava a spese», tanto da arrivare a spendere oltre duemila euro solo per un top di marmo intarsiato. «Ci dobbiamo fare due doccette a bordo piscina», è l’ennesima istruzione che Giustiniani dà al telefono agli operai, senza immaginare di essere intercettato. «Fuori dobbiamo fare pure una piccola cucina in muratura, là ci devo mettere il barbecue e tutte cose – diceva -, e là vicino ci facciamo pure un gabinetto con un lavandino». Immancabili anche le fontanelle a decoro di tutto il giardino circostante, statue, scalinate e un muro di cinta esterno degno di una vera reggia. E dire che ufficialmente quel prefabbricato da un solo vano acquistato non si sa con quali soldi dalla sorella di Giustiniani era destinato in teoria, con un atto di donazione, ai due anziani genitori. Cosa se ne sarebbero fatti mai di tutto quel lusso? «Hanno completamente stravolto l’ambiente preesistente», scrivono infatti gli inquirenti. Convinti che Giustiniani abbia riciclato i soldi ottenuti dalle numerose piazze di spaccio che avrebbe gestito con i Marino allo Sperone.

Silvia Buffa

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