Quando i beni culturali sono affidati ai professionisti del settore Il modello di ArcheOfficina: «Sì ai privati ma con una selezione»

I beni culturali della Regione Siciliana sono tantissimi, ma sono pochi quelli messi realmente a disposizione della popolazione. Ecco perchè l’assessore Sebastiano Tusa da tempo pensa a un bando per lasciare la fruizione di alcuni di essi in mano ai privati, o almeno a enti e associazioni che possano prendersene cura come le istituzioni da troppo tempo non sono più capaci di fare. E nel Palermitano c’è già, dal 2013, un esempio virtuoso e anticipatore di tale modello: si tratta di ArcheOfficina, la cooperativa di servizi per l’archeologia e per le attività didattico-culturali, che ha lo scopo di promuovere e valorizzare il patrimonio archeologico, architettonico e artistico del territorio siciliano. Gestiscono da tempo, con una miriade di attività aperte al pubblico e un successo crescente, le catacombe di Villagrazia di Carini e di Porta d’Ossuna a Palermo. Oltre a partecipare, in quanto archeologi, a una serie di scavi sparsi per l’Isola.

«A Villagrazia di Carini siamo anche gli archeologi responsabili degli scavi dal 2006 con l’Università di Palermo» afferma l’archeologo Marco Correra, che fa parte della squadra insieme Daniela Raia. «Quello di Villagrazia è un monumento a cui teniamo particolarmente, anche per motivi di ricerca. In ogni caso abbiamo preso in gestione da cinque anni due monumenti chiusi al pubblico, li abbiamo aperti e c’è stata un’ottima risposta: sia da parte della gente del posto ma anche a livello turistico. Abbiamo risvegliato pure l’attenzione delle istituzioni locali e delle associazioni. Proponiamo inoltre ogni settimana attività diverse, e con le scuole abbiamo realizzato tantissimi progetti».

Affidare dunque i beni culturali a professionisti del settore è un’idea semplice e che paga. Con la consapevolezza che si tratta di progetti in costante evoluzione. Come quello che, sempre a Carini, vede ArcheOfficina collaborare con la Soprintendenza di Palermo nella zona di San Nicola. «Si tratta di un progetto di archeologia pubblica – spiega Correra – San Nicola corrisponde all’antica Hyccara, la Carini di età romana. Tra il 1994 e il 2005 la Soprintendenza aveva realizzato qui una serie di scavi, che avevano messo in luce resti di ville con pavimenti in mosaico. Però purtroppo negli ultimi anni era stato quasi tutto abbandonato, perché si tratta di terreni privati e la Regione non aveva fondi; nel 2016 avevamo avviato un cantiere scuola di archeologia e questo sarà il quarto anno di scavi, al quale aderiscono anche alcune scuole con un progetto di alternanza scuola lavoro. Essendo poi scavi aperti al pubblico, spesso arrivano molte persone a guardarci al lavoro». 

L’esempio positivo di ArcheOfficina potrebbe dunque essere ben presto replicato. «Siamo pienamente d’accordo con l’assessore Tusa – dice ancora l’archeologo -, è più che provato che l’amministrazione pubblica non riesce a gestire in maniera adeguata le varie realtà, soprattutto quelle più piccole. Quindi dare una possibilità al privato è un fatto positivo. Naturalmente dipende sempre da chi è il privato. Noi ad esempio, anche in qualità di membri dell’associazione italiana archeologi, abbiamo sempre rivendicato la politica di parziale privatizzazione della gestione dei beni culturali. Ma gli eventuali gestori devono essere ben selezionati, devono cioè avere i titoli e le competenze adeguate per il nostro fondamentale patrimonio storico e culturale».

Il rischio infatti è quello di aprire le porte agli speculatori, col risultato di fare più male che bene ai monumenti siciliani. «Ci sono state delle situazioni simili – conferma Correra – come è avvenuto proprio nel Palermitano qualche anno: l’intento era quello di salvare alcune torri di avvistamento del 1300, costruite sulla costa, che erano abbandonate ed erano diventate persino pericolose per i bagnanti. Queste torri sono state date in gestione ai privati, che dentro ci hanno creato dei lidi, con le strutture che sono diventate capannoni moderni. In questo caso non si è fatta certo valorizzazione, promozione e tutela».

Andrea Turco

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