QualiPa, l’osservatorio sulla qualità della vita in città «C’è anche un’altra Palermo da misurare e raccontare»

Un osservatorio dove i cittadini possono raccontarsi e raccontare la comunità che vorrebbero. Questo il presupposto alla base del progetto QualiPa, nato dall’omonima associazione no profit che mira a realizzare un sistema di valutazione e di monitoraggio della qualità della vita nel centro storico di Palermo, partendo appunto dai cittadini stessi e dalle loro considerazioni. Un indicatore che potrebbe diventare la base di un osservatorio fisico, reale che sostenga le politiche sociali e ascolti i bisogni del territorio. «L’ambiente è vivibile, ci sono in realtà molti valori di conoscenza, di competenza e di cultura del territorio che non sono sufficientemente valorizzati. Ci sono, ma non riusciamo a raccontarli. O lo facciamo male», spiega Stefano Mollica, direttore dell’associazione che promuove il progetto. «Negli ultimi 15 anni mi sono occupato del tema del rapporto fra città e territorio. La mia associazione si occupa di sviluppo locale, di stimolare incontri, dibattiti, studi sul tema di come governare l’economia dal basso, come si fa a fare lo sviluppo sociale e civile a partire dai territori».

«Quindi mi sono occupato molto nel tempo di competitività delle città, di attrattività e da questo sono arrivato all’idea che uscendo dall’astratto delle cose scientifiche in realtà questo è un Paese fatto di posti meravigliosi dove la gente vive bene, interpretazione che hanno anche le persone all’estero. In questi ultimi anni – prosegue Mollica – c’è stato un rifiorire delle modalità di raccontare la vita di questo Paese, fortemente inquinati da una cronaca politica o comunque drammatica, tendono progressivamente a prevalere la cronaca del disservizio o quella criminale, che è tutto vero, solo che non c’è solo questo. Serve trovare una modalità di raccontare il Paese anche in un’altra chiave, senza raccontare solo ciò che non funziona, altrimenti di una città o un territorio esisterà sempre e solo un aspetto, quello che non funziona e che è il solo che si tende a raccontare, tralasciando gli aspetti positivi che non raccontare equivarrebbe quasi a cancellare. Il disservizio diventa l’unica emergenza vera, mentre invece l’emergenza è altro». 

A sostenere QualiPa ci sono associazioni che operano nel territorio, da Moltivolti agli artigiani, dai circoli Arci alle cooperative come Terradamare. Tasselli imprescindibili da cui partire sono, quindi, l’ascolto e la partecipazione attiva. Per costruire una sorta di sentinella che si erge sulla città scrutandone luci e ombre, meraviglie e contraddizioni, facendosele raccontare da chi le vive quotidianamente. Un altro modo, insomma, di leggere la città mediante una voce strutturata e un sistema scientifico, non solo quantitativo. Per un’indagine che è più possibile di quanto non sembri: c’è un’altra Palermo da scrutare, raccontare, misurare. Attraente, aperta, familiare, solidale, energica, viva, sana. Un nuovo profilo di qualità urbana palermitano e mediterraneo. In tutto questo, la scuola si staglia come uno dei luoghi ideali da cui far partire questa indagine e processo sociale, un epicentro per raccogliere i racconti del territorio per reinventare il futuro.

«Una scuola comunità che diventa piazza, strada, cortile, città, esplorando con alunni, docenti, famiglie, abitanti e curiosi la qualità del vivere insieme. Una scuola che porta dentro le famiglie il tema della qualità del vivere nel singolo quartiere e nella città». Indagando aspetti demografici e qualitativi mediante un’indagine campionaria e una statistica umanistica rappresentative della qualità della vita vera. Un osservatorio per ascoltare, dare conto, tra politica e servizio, e perseguire bisogni, qualità, conoscenza, innovazione e creare capitale sociale. Sullo sfondo di una Palermo dalle tante sfaccettature, tra degrado e ricchezze, povertà educativa e comunità educanti. «Partendo dall’idea che c’è un patrimonio di qualità e capacità che possono essere l’attrazione principale del Paese e in particolare del Sud – continua ancora Mollica -. Idea all’interno della quale però c’è un’ulteriore stortura: i linguaggi e le metriche con cui si racconta la vita sono influenzati dal paradigma di un Paese industrialista che ormai non c’è più, da un paradigma che affonda le sue radici in modi di vista che sono del Nord industriale. Se si usano altri criteri, altri occhiali, la cosa cambia. Quello che cerchi trovi, si dice».

L’idea di partire dal confronto con le persone che quel territorio lo vivono è tanto semplice quanto innovativa. E potrebbe essere proprio quella chiave di cui parla Mollica per raccontare in modo diverso la città. Ma come esattamente? «Privilegiando tutti i momenti di ascolto, necessariamente differenziati, attraverso interviste libere di ricerca sociale tradizionale, e con paradigma da ricerca induttiva, sperimentale, e altri momenti di ascolto collettivo e di gruppo, utilizzando tecnologie appropriate, dai work cafè ai tavoli di ascolto spiega ancora -. Facendo scienza, non raccontini. Il pericolo più grosso è che ci mettiamo tutti a raccontare le cose belle di un paese che non c’è, dobbiamo avere metriche rigorose, se la qualità non si misura allora non esiste, stai solo parlando di poesia, di empatia, di altro insomma. Sarà un processo circolare». 

Silvia Buffa

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