Pugni, minacce e raid punitivi negli ospedali etnei In tre anni almeno 20 casi di aggressioni a medici

Più di una ventina di aggressioni nei presidi sanitari della provincia di Catania. Almeno quelle registrate dal sindacato Fsi-Usae tra il 2014 e il 2017 e contenute in un dossier che le elenca tutte, una dopo l’altra, a mo’ di report dell’attività sindacale. In mezzo ci sono anche le interrogazioni parlamentari e le denunce a mezzo stampa formulate per raccontare una situazione che personale medico e paramedico affronta quotidianamente. Da una parte le presunte carenze di attenzioni da parte delle istituzioni in tema di sicurezza, dall’altra quelle di personale, avvertite soprattutto nei reparti di emergenza. E in effetti è nei pronto soccorso che si registrano la maggior parte dei casi nel Catanese degli ultimi tre anni.

A giugno 2014 due pluripregiudicati vengono denunciati con le accuse di violenza, minacce, aggressione a pubblico ufficiale e lesioni personali: un 36enne e un 29enne avrebbero preteso di fare passare un loro congiunto prima degli altri pazienti, nonostante la lista formulata al momento del triage. Il risultato è una aggressione a un infermiere dell’ospedale Vittorio Emanuele di via Plebiscito. La prima di una lunga serie: a gennaio 2015 un uomo già noto per problemi psichici e di alcolismo minaccia con un coltello due infermiere nello stesso nosocomio, un mese dopo tocca a una collega nello stesso posto.

Dopo qualche mese dall’inizio del 2015, però, cominciano i problemi nella Rems di Caltagirone. La Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza voluta per sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari finisce al centro di un caso di cronaca dopo l’altro: un medico picchiato ad aprile, un infermiere e un altro medico a maggio, nuovamente un infermiere – stavolta anche sindacalista – preso a pugni in faccia a luglio. Fino ad arrivare alla più pesante delle aggressioni: undici punti di sutura, un trauma cranico e una frattura a una mano. Un infermiere viene colpito con un bastone chiodato strappato da una sedia: l’accusa nei confronti di un 29enne di Licata, ospite della struttura, è di tentato omicidio. Un fatto che finisce anche all’interno di un documento del Consiglio superiore della magistratura che, citando il presidente del tribunale di Caltagirone, ricorda: «Si sono verificati fatti di aggressioni a personale infermieristico alla Rems di Santo Pietro, sita in territorio di Caltagirone, nei mesi di luglio ed agosto 2015», sottolineando «l’esigenza che le strutture rispondano a tutti i requisiti di sicurezza previsti dalla normativa».

Bisogna arrivare al 2016, però, perché il tema della violenza contro il personale medico e paramedico nel Catanese arrivi ai livelli di massima allerta: a febbraio una dottoressa in servizio alla guardia medica di Nicolosi viene minacciata con un’ascia, aggredita e sequestrata. Due uomini la trascinano fino a un bancomat affinché possa prelevare dei soldi da consegnare loro. A luglio per un paio d’ore il reparto di Ortopedia dell’ospedale Cannizzaro diventa lo scenario dei deliri di un uomo, con disagi psichici, che si convince che gli infermieri stiano tentando di avvelenarlo: una viene colpita alla nuca, uno al torace, i compagni di stanza fuggono spaventati in corridoio, una psichiatra gli somministra un sedativo, che però non è sufficiente. Serve l’intervento delle forze dell’ordine. Il 2016 è anche l’anno delle mediche in prima linea al Vittorio Emanuele: «Sbirra, ti ammazzo, a domani non ci arrivi» e «Buttana, domani ti svegli morta». Epiteti diversi, destinati in entrambi i casi a due mediche in servizio d’emergenza.

Alla fine del 2016 è il caso del commando che si presenta in via Plebiscito con l’intento di picchiare il medico che si era rifiutato di fornire le generalità di una donna portata lì dopo un incidente stradale. Sette arresti e il video degli attimi precedenti al pestaggio finito sui giornali. Va meglio nel 2017: il caso più eclatante risale a marzo. Un neopapà prende a colpi di passeggino un’infermiera che gli impedisce l’accesso al reparto di Ostetricia oltre l’orario di visite. La dipendente se la cava con trenta giorni di prognosi e un polso rotto.

Luisa Santangelo

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