Si intravede il dissesto nell’orizzonte delle nove province siciliane. Lo spettro è emerso chiaramente la scorsa settimana nel corso di un vertice palermitano tra i rispettivi commissari e l’assessore regionale delle Autonomie locali, Ettore Leotta. «Dobbiamo capire – afferma Filippo Romano, commissario della Provincia di Messina – se siamo in dissesto e se si tratta di un dissesto anomalo. Se è così, dobbiamo dichiararlo tutti insieme. A quel punto la Regione si presenterà a Roma, battendo i pugni sul tavolo».
Il prossimo appuntamento si terrà tra circa un mese: «Chiuderemo entro il 31 luglio». Una presa di posizione netta e per molti versi provocatoria, che nasce dai paletti della legge Delrio e di quella di stabilità. Questa mattina, Romano è intervenuto a palazzo dei Leoni, sede della Provincia peloritana, informando i quasi mille dipendenti adunatisi nel salone degli Specchi. Nel mirino la normativa nazionale. Mentre, a livello siciliano, si dice certo che la riforma sarà approvata. «Il problema economico-finanziario attuale nasce dall’equivoco secondo cui le Province sarebbero enti inutili – sostiene – la legge Delrio ne affida la gestione ai Comuni. Il problema è che bisogna smagrirle. Così, rimangono le funzioni principali (strade, scuole, ambiente) mentre le altre devono passare alle Regioni che, tuttavia, tranne alcuni casi, non hanno legiferato».
A contenere serie controindicazioni sarebbero pure il dimezzamento del personale e la decurtazione dei conferimenti prescritti dalla legge di stabilità: «I lavoratori non potranno essere assorbiti dalla Regione, non in Sicilia, né dai Comuni in predissesto». Inoltre, nell’anno in corso, lo Stato effettuerà dagli enti intermedi un prelievo di un miliardo di euro da destinare al fondo nazionale di solidarietà: «Saranno due miliardi nel 2016 e tre nel 2017 – illustra il vice prefetto – a Messina, il prelievo sarà di 8,5 milioni».
Numeri frutti di un errore di calcolo, secondo Romano. Negli ultimi quattro anni, i finanziamenti sono scesi da 30 milioni a 900mila euro, a palazzo dei Leoni. Nel 2014, è stato approvato un bilancio da 60 milioni, di cui 12 di fondi regionali ed europei vincolati. In precedenza era di 90 milioni: «Lo Stato prevede di tagliare il 30 per cento di quanto attualmente destina alle Province, contando di passare in tre anni da 9 a 6 miliardi. Ma la misura si basa sul rendiconto generale dello Stato, aggiornato a tre anni prima. Ora, il finanziamento è già di 6 miliardi. Se continua così, nel 2017, la Provincia di Messina avrà un bilancio da 35 milioni, con un costo del personale di 38».
La legge di stabilità è stata impugnata dalla Regione dinanzi alla Corte costituzionale. In più, l’Upi (Unione Province italiane) propone delle modifiche normative: approvazione del solo bilancio 2015, senza il pluriennale; cancellazione delle sanzioni del patto di stabilità; utilizzo straordinario delle risorse provenienti dalla rinegoziazione dei mutui e dell’avanzo di amministrazione. «Se non fosse per gli 8,5 milioni – ammette Romano – chiuderemmo tranquillamente il bilancio 2015. Domani ci sarà una riunione tra i sindacati e la Ragioneria per avere un quadro preciso. Gli stipendi sono comunque al sicuro, in banca abbiamo 30 milioni, sebbene solo 10 disponibili al momento». «Prima vengono gli stipendi, aggiunge, poi i servizi come il trasporto disabili».
Sulla dichiarazione di dissesto e sulle eventuali conseguenze, il commissario è cauto: «Dipende dalle norme statali. Noi siamo in regola con tutti i parametri sul personale e le gestioni finanziarie, in questi anni, sono state sempre corrette. Non dico che dichiareremo di certo il dissesto ma, se avverrà, dovrà essere subito, per creare il caso, aprire il contenzioso. Sarebbe un dissesto guidato dalla Regione, concordato, gestito e pre gestito. Servirebbe a salvare la situazione, malgrado possa costituire una macchia. Combatteremo fino alla fine per la salvaguardia dell’ente e dei suoi dipendenti. Tutti saranno accompagnati alla pensione. Semmai, a essere già in dissesto è il futuro dell’economia legata alla Provincia, considerando il venir meno di mille stipendi pubblici da spendere su un territorio già depresso».
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