«Sono contentissima, felice di ritornare a scuola dai miei ragazzi». Esprime la sua gioia per essere tornata finalmente a scuola, Rosa Maria Dell’Aria, la professoressa di lettere palermitana sospesa per due settimane con l’accusa di non avere controllato un lavoro realizzato dai suoi alunni dell’istituto tecnico Vittorio Emanuele III di Palermo, nel quale accostavano le leggi razziali al decreto sicurezza. I ministri Matteo Salvini e Marco Bussetti avevano annunciato il 23 maggio, nel corso di un incontro in prefettura, una soluzione, ma la prof nei giorni scorsi ha chiesto non clemenza, ma «una dichiarazione ufficiale nella quale si dice che non ha alcuna colpa», una riabilitazione pubblica che sottolinei che è stata punita ingiustamente. Il figlio, l’avvocato Alessandro Luna, ha già annunciato ricorso al Tribunale del lavoro, perché la battaglia continua. È un fatto, del resto, che la docente abbia ripreso il suo posto dopo avere scontato per intero il provvedimento.
Intanto, dopo due settimane di lontananza forzata, oggi si gode la festa. I colleghi le hanno donato delle orchidee bianche, mentre i suoi studenti le hanno riservato un’accoglienza speciale: gli alunni delle sue tre classi, prima e seconda E e seconda B, in aula magna Li Muli l’hanno accolta con un lungo applauso donandole una pergamena – dedicata a «una donna coraggiosa» e 15 rose rosse, «una per ogni giorno di sospensione dalle lezioni». Giunta all’istituto poco prima delle 8, accompagnata dal figlio, Dell’Aria ha risposto alle domande dei giornalisti, ma evitando di tornare sulla vicenda che, comunque, avrà degli strascichi. «Ritorno perché oggi è finita la sospensione e lo faccio con gioia – ribadisce a chi le chiedeva un commento sul provvedimento di sospensione adottato dal provveditore – per insegnare ai ragazzi a pensare, ad essere onesti, rispettosi delle istituzioni delle leggi. Ma anche a non essere indifferenti e a prendersi cura dell’altro. E dirò loro di continuare il nostro lavoro, e di riflettere ed essere consapevoli di ciò che accade attorno a noi».
Pur in giorno di festa, rimane tuttavia cocente la delusione per un provvedimento che, al netto degli annunci e dei proclami, non è stato ancora revocato. «L’amarezza è rimasta – ammette amareggiata – Più del danno economico ho sofferto per l’allontanamento e la messa in discussione della mia dignità professionale, come se non avessi fatto bene il mio lavoro. Questa è una macchia che mi fa soffrire perché penso di aver fatto il mio dovere». Quando entra in aula, dopo avere ‘scontato’ i quindici giorni di sospensione, è accolta da un lunghissimo applauso. «Sono stata lontana dalla scuola per due settimane e, come ho già detto, sono dispiaciuta del fatto che non sia emerso che nel mio operato non c’era colpa. I ministri hanno promesso che avrebbero lavorato per una soluzione che annullasse gli effetti del provvedimento – ha proseguito – e io ho fiducia che manterranno la parola, non ho motivo di credere il contrario. Certo, non può essere dall’oggi al domani, ma se i tempi dovessero allungarsi a dismisura, saremmo obbligati a presentare il ricorso». E poi ha aggiunto: «Oggi entrando in classe vedendo i miei allievi e sentendo il loro affetto mi sono commossa profondamente. Dobbiamo educarli a pensare a essere cittadini onesti, rispettosi delle istituzioni e delle leggi e di avere cura dell’altro».
«Dopo 15 giorni di attesa e dopo tanto clamore, siamo finalmente sereni perché la professoressa è tornata in classe. È stata punita per un provvedimento che ritengo ingiusto: come si può vigilare il libero pensiero? – afferma il vice preside
Giuseppe Castrogiovanni, insegnate di meccanica – Non solo è impossibile, ma persino inutile che i ragazzi non esercitino il loro giudizio critico, non avrebbe senso il nostro lavoro». «C’e’ mancata come l’aria – sbotta un’altra collega della prof – in questi giorni ha perso molto peso, si vede che è provata, ma ha affrontato tutto senza agitazione, con molta signorilità. Per tutti noi è stata una brutta esperienza, molto dolorosa, che nessuno si aspettava e che ci ha scosso. Però, grazie a lei, abbiamo scoperto un spirito di corpo che avevamo perso. Avevamo forse dimenticato l’importanza del nostro lavoro, invece svolgiamo un ruolo importante – conclude – le dobbiamo dire grazie».
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