«Massimo, Piero e Olimpia Niceta, figli dell’imprenditore Mario, sono socialmente pericolosi. Le loro condotte sono molto più che di mera contiguità ideologica a Cosa nostra». È l’opinione della Procura di Palermo che ha impugnato il decreto con cui il Tribunale, sezione misure di prevenzione, pur ritenendo il padre dei Niceta un imprenditore mafioso, ha restituito agli eredi tutto il patrimonio familiare posto sotto sequestro. Il pm Piero Padova, che ha rappresentato l’accusa in primo grado, ha proposto ricorso in appello contro la restituzione, chiedendo ai giudici di sospenderne l’efficacia. La corte ha dieci giorni di tempo per decidere.
Per la Procura di Palermo le condotte degli eredi dell’imprenditore, che grazie ai soldi della mafia ha accumulato un ‘tesoro’ e aperto una decina di negozi di abbigliamento, concretizzano l’appartenenza a Cosa nostra. In realtà nel decreto di dissequestro dei beni sono gli stessi giudici di primo grado che mettono nero su bianco che i Niceta hanno cercato l’appoggio, l’intermediazione e la protezione della famiglia mafiosa Guttadauro e hanno avuto rapporti con Giuseppe Grigoli, prestanome del superlatitante Matteo Messina Denaro. La premessa però, secondo il Tribunale non basta per arrivare al sequestro dei beni, mentre per il Pm è più che sufficiente sia per parlare di pericolosità sociale dei Niceta, sia per applicare la misura patrimoniale.
Infine, nell’appello la Procura sottolinea che, se come dicono gli stessi giudici Mario Niceta era un imprenditore mafioso che ha avuto soldi e aiuti dai clan per anni, indagare sulla sproporzione patrimoniale, inesistente ora alla luce di un contributo di capitali in un lasso di tempo così lungo, non ha alcun senso. Piuttosto l’aspetto da verificare dovrebbe essere il peso che l’apporto di Cosa nostra ha avuto nell’acquisizione del patrimonio.
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