Processo Saguto, sentito ex prefetto Caruso «Esborsi di denaro che si potevano limitare»

Immobilismo nella gestione di alcuni beni confiscati, liquidazioni che non avvenivano e cariche diverse ricoperte dalla stessa persona. Sono queste le criticità che, a sentire Giuseppe Caruso, ex prefetto di Palermo, avrebbe provato a denunciare più volte in tutte le sedi possibili, da quelle istituzionali e ufficiali, ai convegni universitari e nelle interviste con la stampa. «Criticità generali del sistema», precisa più volte lui, che è stato a capo dell’agenzia nazionale dei beni confiscati alla mafia dal 2010 al 2014, mentre Silvana Saguto, sotto processo a Caltanissetta con l’accusa di aver dispensato incarichi ai suoi fedelissimi in cambio di favori personali, assume l’incarico di presidente della sezione Misure di prevenzione a Palermo dall’ottobre 2011.

«Patrimoni come l’immobiliare Strasburgo del valore di milioni di euro, che comprendeva centinaia di immobili siti prevalentemente a Palermo, erano immobilizzati perché gli amministratori percepivano giustamente per la loro gestione delle parcelle e questi beni non venivano amministrati. Un esempio pratico: chiesi all’amministratore e presidente del consiglio di amministrazione dell’immobiliare Strasburgo, cioè l’avvocato Cappellano Seminara, se c’era la possibilità di espungere dei beni immobili parte di questo complesso aziendale per poterli destinare gratuitamente a chi me ne avesse fatto richiesta, per esempio il comune di Palermo, che per alcuni immobili (circa 30, di cui 16 destinati a istituti scolastici) pagava al comune di Bergamo circa due milioni di euro l’anno».

Caruso è convinto che si possa trattare la pratica in questione in maniera diversa e più efficiente: «Gli chiesi di certificarmi che l’equilibrio economico-finanziario dell’azienda, in caso venissero espunti questi beni immobili, non venisse alterato, in maniera tale da poterli assegnare gratuitamente. Lui ha ritenuto di non farmi questa certificazione e alla scadenza del mandato è rimasto presidente, ma ho nominato amministratore giudiziario dell’azienda un altro avvocato che mi era stato nominato dal consiglio direttivo, che nel giro di pochi mesi ha fatto questa certificazione e ho potuto destinare questi 30 immobili al comune di Palermo, che da allora non ha pagato più nemmeno un euro di affitto», racconta. Ma a non convincerlo è anche il fatto che lo stesso avvocato ricopra sia la carica di presidente del Cda sia quella di amministratore giudiziario. Motivo per cui decide di nominare un altro amministratore, chiarendo da subito le cose: «Un patto col nuovo subentrante: che la remunerazione che stabilivo era per lui e i suoi due collaboratori l’equivalente di quanto prima di loro aveva preso da solo Cappellano Seminara».

Ma gli esempi sull’avvocato, anche lui sotto processo con l’accusa di essere stato nominato per anni amministratore di patrimoni milionari grazie a un patto con la giudice Saguto a cui lui avrebbe garantito in cambio favori e denaro, non si fermano qui. «Verificavo che alcune aziende erano gestite in maniera corretta però con un esborso di denaro che poteva essere a mio giudizio limitato – spiega Caruso -. Per esempio, sempre l’avvocato Cappellano Seminara gestiva l’azienda di Suvignano, che occupa quasi mezza Toscana, qualcosa come 900 ettari, che determinava un esborso di ulteriore denaro perché nel caso in cui dovesse andare l’amministratore giudiziario a vedere come andavano le cose, gli si doveva pagare oltre all’onorario previsto anche le spese di viaggio e di alloggio». Tutte critiche che, portate a livello generale, gli avrebbero valso, secondo lui, pesanti contestazioni da parte della Commissiona nazionale antimafia. «Mi angustiava il fatto che ci fossero delle procedure da anni e anni lasciate lì senza nessun ritorno per lo Stato, le istituzioni e gli enti territoriali. Queste criticità erano a livello nazionale – precisa ancora -. Mai mosso critiche nello specifico alla gestione Saguto, in nessuna sede, ma al sistema in generale».

Silvia Buffa

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