«Io non avevo bisogno di chiedere favori a nessuno, a me i favori me li venivano a offrire, ma offrire tutti, io ero circondata da una pletora di persone che in tutti i modi cercava di compiacermi». Non aveva bisogno di chiedere niente a nessuno Silvana Saguto, è lei che lo racconta per sua bocca rilasciando alcune dichiarazioni spontanee. Lo fa durante l’udienza di ieri al tribunale di Caltanissetta, dove è sotto processo per la gestione della sezione Misure di prevenzione di cui è stata presidente, nel tribunale di Palermo. Non le serviva chiedere, anzi, si preoccupava del contrario, del dover allontanare da sé qualunque ipotetica situazione scomoda o circostanza che avrebbe potuto innescare interpretazioni equivoche. «Da quando sono entrata in magistratura a Trapani ho dovuto iniziare a rifiutare gli inviti in villa, sulla barca, dappertutto, tutti inviti di avvocati chiaramente non di mafiosi – sottolinea -, per evitare che poi si potesse dire che in qualche modo se io facevo questo o quel provvedimento potesse essere perché l’avvocato era amico o non amico».
Non nega però di aver fatto, per così dire, qualche cortesia a uomini di fiducia. «Io il favore al cancelliere se glielo faccio è perché glielo voglio fare, è perché io cercavo chi facesse a me il favore di amministrarmi dei beni che rendevano 250 euro al mese. Ma io giudice non solo non ho guadagnato niente, ma ho avuto una serie di limitazioni della mia vita tutta, per quello che riguarda le relazioni, i luoghi da frequentare, le cose da comprare, io non ho rinegoziato il mutuo con Banca Nuova perché non volevo che si dicesse che poi, se io verificavo i crediti, per caso potevo dire che un credito di quella banca fosse vero e non era vero, cioè non avevo relazioni di nessun genere, mentre ci sono colleghi che hanno figli che lavorano nelle banche e questo non lo dico per dire che questo non si può fare, dico che io avevo una posizione particolarmente delicata e pertanto cercavo di non dare adito a niente e invece mi ritrovo lo stesso qua». Parla velocemente, quasi non si trattiene, e lo fa dopo aver ascoltato per oltre tre ore l’esame dell’avvocato Antonino Galatolo, amministratore giudiziario che ha lavorato per lei gestendo alcune attività sequestrate e che ha avuto anche a che fare con suo marito, Lorenzo Caramma, anche lui sotto processo.
Per oltre un’ora proprio Galatolo è chiamato a raccontare in particolare della gestione di una tabaccheria di Sferracavallo nel 2015, che si pensava fosse riconducibile alla famiglia dei Lo Piccolo, capi mandamento di San Lorenzo-Resuttana. Tabaccheria nella quale, dopo appena nove mesi di gestione, risultava un ammanco di oltre 27mila euro e di cui la stessa Saguto era stata messa al corrente da Galatolo. «Lui sostiene che io non ho inviato gli atti alla Procura – dice, alludendo alla revisione contabile e alla relazione a firma di Galatolo che le erano state consegnate -, quando venivo considerata praticamente forcaiola perché voglio proteggere eventualmente i parenti. Perché non glieli inviava lui gli atti alla Procura se voleva? Aveva bisogno del permesso? Perché non sapeva chi doveva indicare, non sapeva quanti erano i soldi di preciso? In un mese e mezzo mi fa tre relazioni diverse e a questo punto io decido di essere prudente per evitare di esporre l’amministrazione e ripeto, chi si sarebbe dovuta lamentare per prima non si è lamentata, cioè la proprietaria della tabaccheria, perché non ne ha trovati ammanchi, la riprova per me è questa, il rendiconto è stato approvato e dei 27mila euro non si parla, se fossero mancati non sarebbe stato approvato».
Per gestire quell’attività, Galatolo aveva messo su una piccola squadra. «Era una misura delicata, ho cercato quindi persone di mia fiducia». Arruola per primo Salvatore Patti, che aveva già vestito i panni di cassiere in una precedente misura di prevenzione. Chiede poi consiglio a una cancelliera con cui aveva lavorato in passato e con la quale è rimasto in buoni rapporti, che gli consiglia di prendere il figlio, Andrea Ceresia; e dopo nemmeno un mese si aggiunge anche il fratello di lei, Sandro Morvillo. Il team non è completo, e Galatolo si rivolge a un suo cugino acquisito con oltre 25 anni di esperienza in polizia e all’epoca autista dell’ex prefetta Francesca Cannizzo, tra gli imputati del processo. Lui in prima battuta gli segnala Maria Teresi, una sua lontana cugina da poco licenziata. L’altro nome arriverebbe invece direttamente dall’ex prefetta, si tratta di Massimo Lo Iacono, marito della donna che le fa le pulizie in casa, da poco senza lavoro. Accettano tutti l’incarico, compreso quest’ultimo, che sarà una vedetta per Galatolo, «il mio unico baluardo lì dentro, gli altri non mi tenevano al corrente di quello che succedeva».
Della gestione di quella tabaccheria, però, Silvana Saguto non sembra saper molto. «Sento qui adesso cosa è successo. Il Consiglio superiore mi ha assolta da questa situazione, l’unica cosa che mi ha levato dalle varie incolpazioni perché ritenuta insussistente. Dell’altra vicenda – dice, alludendo a quella riguardante Galatolo e Caramma – ignoro tutto, non ho mai saputo nulla del lavoro di mio marito, quindi non potrei interloquire in nessun modo». Ma sa, a un certo punto, dell’anticipo di 12mila euro che lui chiede a Galatolo, durante la gestione della pratica Morici. Somma che i due coniugi non salderanno mai. «Caramma già in passato durante le trasferte o durante alcuni giri insieme mi raccontò di alcune difficoltà economiche personali, mi ha detto che insegnava all’istituto dei Salesiani che però non lo pagava regolarmente ed era in arretrato di parecchi mesi», riferisce l’amministratore giudiziario. «In altre occasioni mi raccontò che aveva avuto problemi con il figlio e di un grave incidente con la moto, c’erano stati interventi, cose così».
Ad aprile 2014, dopo continui ritardi dei provvedimenti di liquidazione, Caramma ribadisce a Galatolo di trovarsi in difficoltà economica e gli chiede quell’anticipo. «Era il marito della presidente Saguto, che per me aveva potere di vita e di morte e con cui avevo delle misure in atto, non me la sono sentita di rifiutare, non era la richiesta fatta da un ingegnere qualunque». L’eccezionalità non è tanto nella richiesta, era già successo – in quella stessa misura tra l’altro – che un amministratore giudiziario anticipasse di tasca propria delle somme sul lavoro svolto. L’eccezionalità era piuttosto nella dimensione della cifra: «Quando mi ha fatto questa richiesta non ho ritenuto di avere altra scelta – spiega il teste -. Io poi non l’ho più coinvolto in altri incarichi, perché temevo che potessero esserci da parte sua altre richieste di questo tipo. Nessuno si è mai fatto sentire. Non mi è stato restituito più nulla e io non glieli ho chiesti».
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