Processo per le tangenti al Garibaldi «Grave collusione mafia-politica»

«Una vicenda grave, forse una delle più tristi del panorama catanese riguardo la collusione tra funzionari pubblici e criminalità organizzata». A parlare davanti al giudice Muscarella è l’avvocato Maria Licata, legale dell’azienda ospedaliera Garibaldi, parte civile nel processo sugli appalti per la costruzione della residenza universitaria Tavolieri e del nuovo complesso ospedaliero Garibaldi.

«I fatti parlano da sé e dimostrano chiaramente la colpevolezza degli imputati. Per questo chiedo che, quantomeno, sia confermata la sentenza emessa in primo grado», dice Licata durante l’udienza su una vicenda giudiziaria che vede «l’intreccio di diversi piani narrativi, con incontri e trattative che dimostrano gli atti collusivi messi in piedi intorno a questi due grossi appalti», puntualizza l’avvocato.

Lo scandalo Garibaldi risale a 12 anni fa. Quando due imprenditori, l’agrigentino Vincenzo Randazzo e il lombardo Giulio Romagnoli, si spartiscono il più grosso appalto catanese di quegli anni. Al primo viene assegnato quello per la residenza Tavolieri, al secondo quello per l’ospedale Garibaldi. Una storia di presunti accordi sotto banco e tangenti – nella quale sarebbero coinvolti anche esponenti mafiosi – finita agli atti della Procura nel 1999 e che oggi arriva alle ultime battute in Corte d’Appello.

Un processo che ha toccato diverse maglie della città, tra interessi pubblici e privati di noti imprenditori e politici. Tra cui l’allora direttore generale dell’ospedale, Roberto Mangione e Nuccio Cusumano, all’epoca dei fatti sottosegretario al ministero del Tesoro durante il governo D’Alema. Ma anche il sindaco di Bronte e senatore Giuseppe Firrarello, già condannato, in primo grado, a due anni e sei mesi per turbativa d’asta con l’aggravante di agevolazione dell’associazione mafiosa. Prosciolti invece, grazie ai termini di prescrizione Giuseppe Ursino e Ignazio Sciortino, due componenti della commissione di verifica delle anomalie per le gare d’appalto. Prescrizione di cui invece non si è avvalso l’altro componente della commissione: l’avvocato amministrativo Giuseppe Cicero. Lo stesso ad aver fatto richiesta – poi respinta – affinché il processo venisse spostato in altra sede per possibili conflitti di interesse tra i magistrati etnei e gli imputati in questione.

Si tratta ormai di un procedimento in dirittura d’arrivo. Dopo la requisitoria dell’accusa, rappresentata dal procuratore generale Michelangelo Patanè, che in Appello ha fatto presente l’esclusione dell’aggravante per associazione mafiosa nei confronti di Firrarello, in aula è stata la volta delle parti civili. A parlare la scorsa udienza l’avvocato Giuseppe Messineo per Marina Messineo. Oggi l’avvocato Licata, per l’azienda ospedaliera. Il prossimo appuntamento è fissato per lunedì 20 febbraio e toccherà alle difese degli imputati.

 

[Foto di Leandro Perrotta]

Federica Motta

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