«Non c’è alcuna notizia riservata che D’Agata ha trasferito a Montante». Ad affermarlo in aula al tribunale di Caltanissetta è Giuseppe Panepinto, legale dell’ex numero degli industriali siciliani e per anni paladino di un’antimafia che, sulla scorta dell’indagine Double Face che ha portato già a una condanna in primo grado a 14 anni, sarebbe stata soltanto di facciata. Panepinto ha parlato nel corso dell’arringa nell’ambito del processo d’appello. Tra i tanti rappporti corruttivi che avrebbe instaurato Montante, che è presente in aula, c’è quello con il colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata, già capocentro della Dia a Palermo e poi passato all’Aisi, l’agenzia dei servizi segreti interni.
Tra le vicende che avrebbero visto protagonisti Montante e D’Agata ci sono una serie di scambi di informazioni riservate che il secondo avrebbe passate all’industriale, con l’obiettivo di oliare un rapporto che avrebbe dovuto portare al colonnello una serie di benefici. Tra cui la conferma della moglie come presidente di Industria Acqua Siracusana e il proprio passaggio all’Aisi. «Non c’è un solo indizio secondo cui il colonnello Giuseppe D’Agata abbia mai dato notizie riservate ad Antonello Montante e lo riconosce lo stesso Tribunale nella sentenza di primo grado – ha detto Panepinto, rivolgendosi alla Corte – . Non vi sono elementi di prova sul contenuto riservato segreto». Durante l’udienza Panepinto ha letto in aula anche un’intercettazione in cui D’Agata, parlando dell’ipotesi che fossero stati trovati a casa di Montante documenti a lui riconducibili, dice alla moglie: «Ma io carte non gliene ho date». «Nel famoso archivio segreto di Montante non è stato trovato un solo foglio di carte che si ritenesse potesse provenire dall’ufficio di D’agata e che lui avrebbe trasmesso a Montante», ha rimarcato il legale.
Tra le ipotesi messe in campo dagli inquirenti, c’è anche quella riguardante la possibilità che nelle mani di Montante fosse finita una copia della telefonata tra l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino, venuta fuori durante il processo sulla trattativa Stato-mafia e poi ufficialmente distrutte. «La Direzione investigativa antimafia conferma la distruzione di quelle intercettazioni», ha affermato l’avvocato Panepinto in aula, aggiungendo che il racconto di Marco Venturi, ex braccio destro di Montante e poi diventato uno dei suoi accusatori, sarebbe inattendibile. Venturi disse di avere assistito a un passaggio di pen drive da D’Agata a Montante. In quella chiavetta Usb potrebbe esserci stato il file della telefonata.
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