Il collegio della seconda sezione penale fa un passo indietro e accoglie la richiesta degli avvocati Antonio Ingroia e Bartolomeo Parrino, legali di Pino Maniaci nel processo a suo carico scaturito dall’operazione Kelevra del maggio 2016, e apre le porte a microfoni e telecamere della stampa. A luglio scorso, lo stesso presidente Benedetto Giaimo, a sorpresa aveva invece rigettato la richiesta avanzata dai cronisti di Radio Radicale, emittente che ha documentato i più importanti procedimenti giudiziari della storia, per «proteggere le opposte esigenze di tutte le parti del processo». Questa mattina il dietrofront, malgrado l’opposizione dei difensori degli altri imputati alla sbarra accusati a vario titolo di associazione di stampo mafioso e di estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Il cronista di Telejato, invece, è accusato di tentata estorsione ai danni di alcuni dipendenti comunali e diffamazione.
Convincente, quindi, il discorso di Ingroia e Parrino sulla questione della rilevanza sociale del processo: «Maniaci ha diritto che il processo venga seguito pubblicamente, visto che la sua immagine è stata massacrata pubblicamente». Ricordano la conferenza stampa indetta l’anno scorso per annunciare i particolare dell’operazione, incentrata secondo loro proprio sul giornalista di Partinico. «Tutte le tv e i giornali non hanno parlato d’altro per giorni. Sarebbe uno squilibrio enorme se fosse negata ai cittadini la possibilità di seguire il processo». Citano una sentenza del 2007 della Corte europea dei diritti umani e i principi di trasparenza ed equità. Suggerimento colti dalla Corte, che dopo un’ora di camera di consiglio, ha deciso per autorizzare quanto mesi fa era stato invece negato.
Cuore dell’udienza di questa mattina, però, è anche un’altra questione preliminare, anche questa dal sapore del tormentone: «C’è un’anomalia genetica di questo processo, per via di un’illeggittima e ingiustificata riunione della posizione processuale di Maniaci con quella degli altri imputati. Non c’è nessuna connessione di alcuna natura». Quella del cronista, in base al tipo di reato contestato, è per i legali una posizione slegata e autonoma. Si invoca, quindi, ancora una volta la seprazione dei procedimenti. «Il decreto di intercettazione è unico, comprende tutti gli imputati. Il procedimento nasce unito e arriva così al Collegio – replica in aula la pm Amelia Luise – In caso di un unico imputato per più reati, poi, vale sia il collegiale che il monocratico».
Una richiesta che oggi si fa ancora più insistiente, alla luce di una richiesta di archiviazione del settembre 2016 scaturita da uno stralcio delle più articolate e complesse indagini dell’anno scorso sulla famiglia mafiosa di Borgetto. «Si tratta di una richiesta di archiviazione per una serie di reati contestati a tutti gli imputati e per il quali c’era un procedimento separato». Nel caso di Maniaci l’archiviazione viene chiesta per il mancato riscontro della presunta natura estorsiva nei confronti dei titolari di due supermercati di Borgetto, secondo quanto emerso dagli accertamenti bancari.
«Hanno chiesto l’archiviazione anche per concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti di Gioacchino De Luca e Vito Spina – rispettivamente ex sindaco e vicesindaco di Borgetto – Quei soggetti, cioè, coinvolti direttamente nella vicenda Maniaci. Quindi, se questo poteva creare un minimo di connessione all’udienza preliminare, ora viene meno del tutto qualsiasi legame del giornalista con gli altri processati», precisa l’avvocato Parrino. Il gup si pronuncerà a ottobre su questa richiesta di archiviazione, a firma di ben cinque magistrati: Amelia Luise, presente oggi in aula, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Annamaria Picozzi. Sempre a ottobre, proseguirà il processo scaturito dall’operazione Kelevra: in quell’occasione il giudice scioglierà la riserva sulla richiesta di separazione dei procedimenti.
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