L’orologio segna le 12 in punto quando
Raffaele Lombardo entra nel palazzo di giustizia di Catania, con lui ci sono il suo avvocato, Alessandro Benedetti, e due assistenti che trascinano delle grosse valige, «dentro ci sono le carte del processo», spiega uno di loro. Il motivo è semplice: è il giorno delle dichiarazioni spontanee dell’ex presidente della Regione, nel processo d’Appello in cui è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Dopo toccherà alla difesa e per l’inizio del 2017 è attesa la sentenza. La procura etnea per lui ha chiesto la condanna a sette anni e otto mesi, dopo la sentenza di primo grado che lo ha riconosciuto colpevole. Ad aspettarlo al secondo piano ci sono diversi sostenitori, tra di loro c’è anche un fedelissimo di Lombardo, il senatore Antonio Scavone. I due si intrattengono a lungo per parlare fuori dall’aula, tra sorrisi e una lunga passeggiata prima dell’inizio dell’udienza. «Non parlo di politica e non chiedetemi un giudizio sull’elezione di Donald Trump – spiega ai giornalisti Lombardo prima di cominciare a parlare a processo-. Certo io che ho creduto nell’autonomismo, quello vero, mi fa davvero specie vedere quello che sta succedendo in Italia tra Partito democratico e Lega nord».
Non chiedetemi di parlare di Donald Trump
Dalle allusioni sulla politica si passa presto alle
vicende giudiziarie. L’ex presidente parla per ore, leggendo intercettazioni telefoniche e analizzando alcuni capitoli dell’inchiesta Iblis, su mafia, politica e imprenditoria. Le sua autodifesa viene interrotta per tre volte dalla giudice Tiziana Carrubba, che lo invita senza giri di parole a «essere veloce». Sul lato opposto del banco ci sono la procuratrice Sabrina Gambino e la magistrata Agata Santonocito, entrambe ascoltano Lombardo con sguardo annoiato facendosi scappare diversi sbadigli. Lui, il fondatore del Movimento per le autonomie, continua a parlare. Smentisce qualsiasi coinvolgimento nella vicenda del parcheggio di piazzale Raffaello Sanzio e parla anche del geologo Giovanni Barbagallo. L’ex sostenitore del partito autonomista, ritenuto dagli inquirenti, il collante tra gli interessi della famiglia mafiosa di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano e il mondo della politica. Nel maggio 2008, dentro la sua tenuta di campagna, viene organizzato un pranzo per festeggiare l’elezione di Angelo Lombardo, fratello di Raffaele. Nello stesso tavolo, insieme al parente dell’ex presidente, ci sono donne, bambini e il sorvegliato speciale Alfio Stiro.
Di Dio? Spero nella funzione riabilitativa della pena
Nel discorso ai giudici di Lombardo non manca Rosario Di Dio. Il presunto boss di Castel di Iudica che ha svelato due incontri che nel 2006 sarebbero stati organizzati dall’esponente di Cosa nostra dietro il bar di una stazione di servizio a
Belpasso. Faccia a faccia tra l’ex reggente di Cosa nostra catanese Angelo Santapaola da un lato e Angelo e Raffaele Lombardo dall’altro. Con il ruolo di «garante del patto» ci sarebbe stato lo stesso Di Dio. «Per lui – dice ironicamente l’ex presidente riferendosi a Di Dio in aula- spero nella funzione riabilitativa della pena». Il politico ha accusato l’ex sorvegliato speciale di essere più volte contraddetto nelle sue rivelazioni, indicandole come un elemento a favore della difesa.
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