Processo Bruno, 10 anni e quattro mesi per usura Esclusa aggravante mafiosa, a incidere la recidiva

Condannato a dieci anni e quattro mesi, a fronte dei 16 chiesti dal pm Gaspare Spedale. Così ha deciso dopo due ore di camera di consiglio la giudice della quinta sezione penale Teresa Puleo. A processo Roberto Bruno, macellaio di Altofonte accusato di usura aggravata dal metodo mafioso. La Corte però ha escluso l’aggravante. A incidere, invece, sulla determinazione della pena è stata la recidiva. Stabilita anche la confisca del denaro, dei mezzi, del cellulare e del passaporto. +

I fatti risalgono al giugno 2015, quando Alessio Nicola Pitti, amico di Bruno e anche lui residente ad Altofonte, lo denuncia ai carabinieri. Dichiara di avergli chiesto dei soldi in prestito, per la cui restituzione Bruno gli avrebbe imposto dei tassi usurai, minacciandolo inoltre di agire per conto di Salvino Raccuglia, fratello di Domenico, boss di Altofonte. Pitti, secondo quanto dichiarato, avrebbe chiesto la somma in prestito in seguito ai problemi economici iniziati dopo aver donato parte del proprio fegato alla sorella, che nel 2012 subì un trapianto. «Ci servivano i soldi, li abbiamo chiesti a lui, che però ci strozzava di interessi», ha raccontato la vittima.

Prima della decisione della corte, la difesa ha articolato la propria arringa finale, puntando soprattutto a screditare Pitti e il suo racconto della vicenda, cuore del processo. «Pitti mente – ha affermato più volte l’avvocato difensore Gaspare Affatigato – È un soggetto abitualmente dedito alla menzogna, lo ha fatto con i suoi assistiti, con i parenti, con i creditori e con la Corte. Se c’è una truffa in questa storia, è opera sua». L’intervento del legale, durato oltre due ore, è pieno di enfasi e ripercorre punto per punto i momenti salienti della storia. A cominciare dalla colluttazione fra Pitti e Bruno all’Ismett di Palermo: «La vittima e la madre ci hanno raccontato quell’episodio come un’aggressione violentissima, subita da entrambi – dice il legale – Ma se così è stato, perché si recano al pronto soccorso solo alle 21 di sera, cioè sei ore e mezza dopo quello che era successo?».

L’avvocato Affatigato ha tirato in ballo anche l’allora compagna di Bruno, che era arrivata sul luogo subito dopo l’accaduto: «Lei capì che gli animi erano tesi, ma non trovò Pitti tramortito a terra e la madre sanguinante. Qui l’intero nucleo familiare ha mentito – ha detto il legale – Per questo non capisco sulla base di cosa Pitti è un soggetto, per l’accusa, più credibile del mio cliente». Secondo la ricostruzione della difesa, la vittima aveva sì problemi di soldi, ma non a causa dell’usura imputabile a Bruno, ma perché aveva problemi di gioco. «Lui è scaltrissimo, ha truffato mezza Altofonte. Era nei guai però, e ha pensato bene di uscirne inguaiando Bruno, già accusato e subito assolto per lo stesso reato». Il macellaio di Altofonte, infatti, non è nuovo alle forze dell’ordine: nel 2006 è stato arrestato insieme ad alcuni complici con l’accusa di aver applicato tassi usurai e di aver minacciato un pensionato bisognoso di soldi per curare la moglie malata.

Nel 2012 cambiano storia e reato, ma l’uomo resta lo stesso: in un’altra vicenda Bruno viene arrestato perché sorpreso ad alimentare il proprio esercizio commerciale mediante un allaccio abusivo alla rete elettrica, mentre nel proprio appartamento aveva alterato anche l’allaccio alla fornitura idrica comunale. Elementi che secondo il legale avrebbero influito sul giudizio del suo cliente in questo processo. «Le dichiarazioni delle persone offese sono state smentite tutte dai documenti forniti – ha detto – E poi non c’è la continuità tipica dell’esercizio abusivo della pratica finanziaria e i soldi prestati sono ad amici e parenti, manca la cosiddetta pluralità indefinita di terzi». Infine l’accusa della vicinanza ai boss di Altofonte, motivo dell’aggravante mafiosa: «Il mio cliente non conosce le persone tirate in ballo – conclude il legale – Raccuglia, Vassallo e Pitti sono in realtà pedine di una stessa scacchiera». 

Oltre al pagamento delle spese legali, Bruno dovrà corrispondere 20mila euro alla vittima, costituitasi parte civile e rappresentata dall’avvocato Salvatore Gambino, e tremila alla madre. 

Silvia Buffa

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