Pride, Femminismi e gender politics Tra finanziamenti assenti e rivoluzione Queer

La storia di Pino il meccanico, diventata Beatrice e sposata con Marianna, strappa applausi, sorrisi e pensieri. Il film di Elisa Amoruso Fuori strada con dentro un po’ di tutto – lesbismo, transgenderismo, omogenitorialità, amore per gli animali – conclude la serata dedicata da Arcigay all’interno del Pride ai Femminismi, gender politics. Plurale, per intendere le varie forme di pensiero che davanti al pubblico hanno preso corpo nell’esperienza di altrettante donne. Storie di vita o di lavoro, come nel caso di Luisa Calabrò, presidente dell’associazione Ossidi di ferro, che racconta com’è semplice abbattere gli stereotipi di genere nei bambini con un gioco: come quello con uno speciale mazzo di carte che contiene le immagini dei mestieri della muratrice, dell’ostetrico e delle famiglie omogenitoriali.

Ad aprire gli interventi è la docente dell’università di Catania Graziella Priulla, da anni impegnata nella diffusione delle questioni di genere. Anche e soprattutto nelle scuole: 49 istituti in un anno, a Catania e provincia. Luoghi di formazione dove – tra il sesso che rimane un tabu e gli stereotipi di genere alimentati – lo scenario è desolante. «Il problema è che, nonostante le insegnanti siano quasi tutte donne, non si registra nessun cambiamento nell’insegnamento tradizionale – spiega la professoressa – Questo dimostra che non serve avere un gran numero di donne in un luogo perché quel luogo cambi le regole». Servirebbero sensibilità istituzionale e finanziamenti, invece, «e invece niente, nonostante gli 867mila euro spesi dalla Regione Siciliana per promuovere la caponata nel mondo», conclude Priulla.

Nessun aiuto è arrivato anche nel caso del centro etneo anti-violenza Thamaia. «Il problema è il machismo e il vivere la sessualità in maniera distorta – interviene Loredana Piazza, la presidente del centro – Nel 2012, su Catania e provincia, sono stata circa 300 le donne si sono rivolte a noi per casi di violenza domestica». Un’emergenza che avrebbe molto a che vedere con il tema del Pride: il lavoro. «Tra le motivazioni che tengono ingabbiate le donne in una relazione di violenza è la difficoltà di avere un’indipendenza economica, a fronte magari di bambini piccoli», spiega Piazza. A cui fa eco un più ottimista commento di Anna Di Salvo, storica femminista etnea de La Città Felice, che si dice «consapevole dello scarto generazionale» con le donne e gli uomini di oggi, ma anche contenta dei risultati raggiunti, come «la maggiore consapevolezza di uomini e donne sulla maternità».

Una consapevolezza, secondo Antonia Cosentino Russo de Le Voltapagina, frustrata dal precariato che «per le donne è una doppia barriera – spiega – Che non lascia margine per aspirazioni personali, per la mia vita». Ma la giovane aspirante giornalista ha spazio anche per le battaglie e le proposte: come quella per l’imposizione obbligatoria del congedo di paternità. E ancora sulla maternità, con un assist agli organizzatori dell’incontro, insiste anche Sara Catania Fichera, architetta, secondo cui «l’autodeterminazione della maternità può essere il punto d’incontro tra donne eterosessuali e donne lesbiche».

La conclusione spetta a un’altra docente di Unict, Stefania Arcara, coordinatrice dei Gender lab partiti quest’anno accademico. Un finale che spiazza il pubblico, rompendo il susseguirsi di temi classici del femminismo con la spiegazione della filosofia queer, anticipata da CTzen pochi giorni prima. «Ho un problema con la categoria donna con la D maiuscola, con la donnità come destino biologico – interviene la docente – Non vanno dimenticate le problematiche di esclusione anche all’interno del movimento femminista». E che il queer cerca di superare «rivoluzionando il sistema degli opposti – spiega Arcara – Non più bianco-nero, sole-luna, etero-omo, ma un nome fluido per identità altrettanto fluide». Che non puntano all’inclusione nella società – in un tentativo di normalizzazione – «ma alla trasformazione della società stessa». Senza allontanarsi dalle altre lotte sociali.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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