Con la presentazione del documento politico, ha preso il via ufficialmente ieri sera la cinque giorni del Pride di Catania, la settimana dell’orgoglio Lgbtqi dedicata quest’anno al tema del lavoro. «Ci siamo accorti che non è possibile fare un discorso completo occupandosi solo dei diritti civili», spiega il presidente dell’Arcigay etnea Alessandro Motta. Il documento, illustrato durante un dibattito moderato dal direttore di CTzen Luigi D’Angelo, «contiene una proposta concreta». Ribaltare la concezione secondo la quale si debba lavorare per vivere, identificarsi con il proprio mestiere e – quando questo manca – mortificare la persona. In una frase, «prima sono, poi lavoro». Un argomento di stretta attualità, in un tessuto sociale che non offre molte opportunità. «Non possiamo non notare che, con l’avanzare della crisi, aumentano quelle correnti che negano le alterità – sottolinea Motta – È giusto che il tema mobiliti la nostra comunità».
«Sul lavoro abbiamo l’unica legge che ci tutela – afferma Flavio Romani, presidente nazionale di Arcigay – Nonostante ci sia questa norma, ci sono carriere che si fermano». Questo, prosegue, accade anche perché «le stesse persone gay, lesbiche e transessuali fanno fatica a denunciare». «Chi lavora? Una persona. Un soggetto che diventa operaio, chiunque faccia un’opera», spiega Giovanni Caloggero, consigliere nazionale dell’associazione. L’esercizio di una professione «non può andare disgiunto dal valore della dignità».
Il segretario della Cgil Giacomo Rota ricorda come l’articolo 1 della Costituzione intenda il lavoro «come valore che ci consente la libertà delle scelte», mentre Pierpaolo Montalto (segretario provinciale di Rifondazione comunista) pone l’accento sul parallelismo che esiste tra il precariato e il mancato riconoscimento dei diritti civili. «Il Pride, in questa città, è il primo momento di conflittualità da tanto tempo», dice. «Uniamo i conflitti», è l’appello. Secondo Matteo Iannitti (Catania bene comune) «siamo passati da un momento in cui la lotta era portata avanti da dentro i luoghi di lavoro, a una lotta per un lavoro sfruttato. In questo momento – riflette – si accetterebbe qualsiasi lavoro». Anna Bonforte (rappresentante di Sel) punta il suo intervento sul suo ruolo di legale esperta di Diritto del lavoro, legata alle problematiche riscontrate nel territorio. «Bisogna riconoscere diritti e welfare state, ripensandolo totalmente, anche a chi non è legato al lavoro produttivo perché ce l’ha o perché l’ha appena perso». Di più ampio respiro, con cenni internazionali, il discorso di Antonella Petrosino (Amnesty International) che riporta l’esperienza di lotta all’omofobia portata avanti dall’ente da lei rappresentato.
«La discriminazione sessuale nei posti del lavoro è subdola. Il vero obiettivo è svelare questo velo di ipocrisia». Jacopo Torrisi, vicesegretario provinciale del Partito democratico, il «partito che guida la città, la Regione, il governo e l’Europa», tiene a precisare. Facendo una leggera autocritica per le occasioni mancate dalla sua area – «È ai matrimoni che si deve puntare. Non si può più aspettare», afferma – spiega come Catania sia oggi molto avanti in termini di diritti civili. Considerato anche che era una città «che si era distinta come tra la più zelanti nella repressione dell’omosessualità», ricorda riferendosi all’azione del questore etneo Alfonso Molina.
Ma è Stefano Pieralli, vicepresidente dell’associazione Plus (organizzazione a tutela di sieropositivi), a riportare alla concretezza il dibattito. «Invito i partiti ad ascoltare ogni tanto quanto si dice durante i pride», esordisce. Con molteplici sfide davanti, tutte pressanti, «Arcigay non ha tempo di fare la rivoluzione». E attacca: «Noi siamo privi di tutele. Proprio in questi giorni assistiamo a un abbassamento dei diritti del welfare». Anche un tema che sembra lontano dalle lotte lgbtqi, le tasse, ha un impatto sulla vita quotidiana di milioni di cittadini. «La fiscalità del lavoro è totalmente familista, patriarcale». Citando gli esponenti di partiti e sindacati che lo hanno preceduto, rivolge loro un appello: «Non ci avete aiutato – afferma – Non siamo quelli da prendere per la mano, ma quelli da far sedere ai tavoli con voi. Prendete anche le nostre idee, ascoltateci, avete molto da imparare».
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