«Un grande esempio». Soprattutto per i giovani per «la sua inflessibile battaglia contro l’insidiosa opera di organizzazioni terroristiche e criminali e la sua azione intelligente e tenace». È questo per il capo dello Stato, Sergio Mattarella, il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso 33 anni fa, insieme alla moglie, Emanuela Setti Carraro, e al poliziotto di scorta Domenico Russo, in un agguato mafioso in via Carini, a Palermo. È lui l’uomo scelto nel 1982 dal Governo per fermare la mattanza di mafia, una lunga sequela di morti. Vittime uccise in pieno giorno e in pieno centro. «Non dico di vincere, ma di contenere – dirà in una intervista Dalla Chiesa – mi fido della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere».
«Dalla Chiesa può insegnare ancora molto a ognuno di noi» scrive sul suo profilo Facebook il presidente del Senato, Pietro Grasso. Ricordare per il numero uno di Palazzo Madama è un dovere morale per «rendere omaggio agli uomini e alle donne che hanno pagato con la loro vita il coraggio, il loro talento, la lealtà alle Istituzioni, l’amore per il nostro Paese; ricordare per impedire che il loro lascito intellettuale e morale si perda nel tempo; ricordare per riscattare gli errori commessi; ricordare per far germogliare la speranza dal dolore; ricordare per rinvigorire la dignità e l’orgoglio che servono per cambiare davvero le cose». Soprattutto per i ragazzi Dalla Chiesa è «una guida, un maestro, una figura alla quale riferirvi quando sarete chiamati, non importa in quale ambito e per quale ragione, a scegliere di fare la cosa giusta».
Sul luogo dell’eccidio, in via Isidoro Carini, in rappresentanza del Governo oggi c’era il ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Per il capo del Viminale l’omicidio del generale fu «preventivo». Perché Dalla Chiesa «fu punito non per le cose che aveva fatto, ma per quelle che si pensava avrebbe fatto. Un omicidio per prevenire la sua azione di bonifica».
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