Porto, sbarcano 265 migranti Spari da una motovedetta libica

Sono sbarcati al porto di Catania 265 migranti – un centinaio tra siriani e palestinesi, il resto di nazionalità sub-sahariana – salvati nel Canale di Sicilia mentre erano a bordo di un barcone alla deriva. Nel gruppo si contano circa 60 donne e 25 minori non accompagnati. A effettuare le operazioni un rimorchiatore privato italiano, Asso 21. Dopo aver quasi concluso le operazioni di trasbordo, da una gommone che si era intanto avvicinato sono partiti degli spari, esplosi a scopo intimidatorio nei confronti del mezzo italiano. Gli uomini a bordo del gommone – indicati dai testimoni come «libici, ma non in divisa» – hanno poi preso il barcone ormai vuoto.

Il viaggio dei 265 è cominciato alle tre di notte di lunedì. Dopo 15 ore navigazione, viene lanciato il segnale di soccorso. «Quando stavamo per ultimare il trasbordo e sul barcone erano rimaste ancora una trentina di persone, sono arrivati su un gommone degli uomini libici, non in divisa, che hanno cominciato a sparare in aria – raccontano i testimoni – Due di noi sono finiti in mare, ma per fortuna sono stati subito recuperati prima di annegare». «Gli scafisti hanno sparato in aria e non al nostro equipaggio né ai migranti», ha confermato l’armatore dell’Asso 21, Mario Mattioli, ai microfoni di Radio 24

«Il nostro rimorchiatore è stato chiamato a fare questa operazione di salvataggio – ha proseguito l’armatore – e a un certo punto, mentre era in corso il trasbordo, è arrivato un barchino con una certa velocità. A bordo alcune persone che hanno di fatto recuperato il barcone su cui erano stati trasportati i migranti. Hanno sparato in aria per velocizzare l’operazione di sbarco, è come se avessero voluto dire ai migranti “fate in fretta”». Mattioli ha precisato che «il fatto è avvenuto in acque internazionali». Sul posto è subito intervenuta una nave della marina militare italiana, che ha sorvegliato i movimenti della motovedetta senza intervenire.

«Noi siamo civili, a bordo della Asso 21 ci sono 12 persone – ha sottolineato – Noi rispondiamo in primis per la coscienza che ha chiunque opera in mare, e deve salvare vite umane in pericolo. Teoricamente non voglio dire che non li dovremmo salvare, potrebbe sembrare una affermazione terribile, ma da cittadino italiano dico che questo flusso migratorio non può essere risolto attraverso l’utilizzo di imbarcazioni civili». E ha concluso: «Immaginate 12 persone di equipaggio a dover gestire 250 migranti, molti dei quali malati, e non abbiamo di certo un medico a bordo». 

Sul caso la procura di Catania ha aperto un’inchiesta. Indaga la squadra mobile etnea. Il barcone è partito dal porto di Sebrata, in Libia, all’alba di lunedì. Nel porto, intanto, si stanno effettuando le operazioni di accoglienza e identificazione dei migranti. Si tratta di persone provenienti soprattutto da Siria e Palestina, ma anche da Somalia, Sudan e Bangladesh. Circa 60 donne e 45 minori, la metà dei quali non accompagnati, sono adesso assistiti da Save the Children.

Nella giornata di ieri, in 12 diverse operazioni, sono state tratte in salvo 1511 persone. Si aggiungono agli oltre ottomila migranti soccorsi negli ultimi giorni, facendo salire il totale a quasi diecimila unità. Ieri la nave Dattilo della guardia costiera ha recuperato 503 persone da cinque gommoni; 131 sono state soccorse da una motovedetta. Impegnati anche diversi mercantili privati: la motonave Shah ha accolto 86 persone trasbordandole da un’altra imbarcazione della guardia costiera. La Norman Corona ha salvato 95 migranti. Impegnata anche un’unità della guardia di finanza che ha recuperato dalle acque del Canale di Sicilia 89 persone e due navi della marina, che ne ha soccorse 519. 


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Da un gommone con a bordo «uomini libici, non in divisa», presumibilmente scafisti, sono partiti dei colpi intimidatori durante la fine delle operazioni di trasbordo su un rimorchiatore italiano. «Due di noi sono finiti in mare ma sono stati subito recuperati prima di annegare», raccontano i testimoni. Sul caso indaga la procura di Catania

Da un gommone con a bordo «uomini libici, non in divisa», presumibilmente scafisti, sono partiti dei colpi intimidatori durante la fine delle operazioni di trasbordo su un rimorchiatore italiano. «Due di noi sono finiti in mare ma sono stati subito recuperati prima di annegare», raccontano i testimoni. Sul caso indaga la procura di Catania

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