Da Catania alla Turchia per un’avventura on the road. In mezzo ci sono la passione per la fotografia, la ricerca di lavoro in una città che offre poco e niente, la voglia di cambiare aria, un progetto di volontariato europeo e un blog. E’ la storia di Emanuele Poki, 22enne nato e cresciuto nella città del Vulcano. Nel cassetto un diploma all’Istituto d’Arte e l’hobby della street art, Poki fa il fotoreporter per un’associazione di volontari nel vasto paese che si affaccia sul Mar Nero e racconta i suoi viaggi in autostop (e a bordo di altri mezzi poco convenzionali) in un diario online. Un’occasione capitata per caso, quando da neo-diplomato cercava uno sbocco professionale vicino ai suoi studi. E che si è trasformata – dopo qualche anno e diverse richieste rifiutate – in un’esperienza di crescita, lavorativa e umana, a stretto contatto con usi, costumi e contraddizioni di un luogo così diverso dall’Italia. CTzen lo ha intervistato poco prima del suo ritorno in città.
Emanuele, da artista in cerca di impiego a Catania a viaggiatore in Turchia. Perché ti trovi in questo paese così lontano da casa?
«Subito dopo il liceo, mentre cercavo lavoro, mi parlarono del Servizio volontariato europeo (Evs). I primi anni ho fatto domanda per i paesi europei più in voga, come Francia, Spagna o Grecia ma non mi hanno mai selezionato, fino a quando non ho deciso di mandare la richiesta per ogni progetto che potesse interessarmi a prescindere dal luogo. Così mi sono ritrovato in Turchia».
Dici di essere in cerca di lavoro. Cosa facevi a Catania prima di partire?
«Ho lavorato come fotografo di cerimonie per un po’, poi piccoli lavoretti qui e là poco inerenti con i miei studi. Brutti tempi in cui si cercava di sopravvivere senza avere il tempo per vivere. Fu dopo quel periodo in cui nulla sembrava muoversi che venne riaperto il Teatro Coppola, teatro dei cittadini. Frequentandolo ho prima dato una mano per la ristrutturazione e poi lavorato come tecnico delle luci e macchinista. Una bella realtà in cui non vedo l’ora di ritornare. Quando ho bisogno di staccare da tutto vado a mare a seppellire i pensieri sott’acqua facendo apnea».
Da quanto tempo sei in Turchia e quali città hai visitato? Ci sono altri italiani con te?
«Vivo insieme a un ragazzo napoletano a Gaziantep, a pochi chilometri dal confine siriano, e siamo qui da poco meno di sei mesi. Sono stato nelle città più importanti del sud-est della Turchia, il Kurdistan turco, ma anche in altre zone del Paese. Mi sono spostato anche in Georgia, Bulgaria, Serbia, Macedonia e Cipro».
Qual è lo scopo del tuo soggiorno e cosa fai esattamente in Turchia?
«Qui, coerentemente con i miei studi, mi occupo della documentazione fotografica delle attività dell’associazione per cui sono volontario. Ho deciso di partire per imparare l’inglese e prendere una boccata d’aria fresca dalla situazione pessima in cui versa l’Italia. Alla fine ritornerò parlando un turkenglish imbastardito e, ad aspettarmi, una situazione peggiore di quella lasciata. Ma sono fiducioso e non vedo l’ora di rimpatriare».
Reporter fotografico quindi, ma non solo. Hai aperto un blog sul web, C’era una volta in Turchia, in cui scrivi del tuo viaggio. Una sorta di diario di bordo pieno di storie on the road. Cosa vuoi raccontare a chi ti legge?
«L’idea del blog non è stata mia. Prima di partire, alcuni amici e familiari hanno insistito perché li tenessi informati sulla vita in questo Paese che, nell’immaginario collettivo di chi non lo conosce bene, ha ancora qualcosa di orientale e misterioso. Cosa non del tutto falsa d’altronde. Di solito definisco la città in cui sono capitato una “carcassa”, in cui la vita sociale è pressochè nulla. Così, ho iniziato a scrivere dei viaggi che faccio per evadere da qui. E’ un vero e proprio diario di viaggio, in cui raccolgo impressioni e ricordi e racconto dal mio punto di vista quello che vedo e che mi succede, senza la pretesa di un visione oggettiva. Solo per scrivere le cose così come vengono».
Qual è la situazione dal punto di vista culturale, sociale e politico?
«Servirebbero pagine e pagine per poter delineare, anche sommariamente, la situazione in Turchia. E’ un Paese grande, molto diverso e pieno di contraddizioni. I turchi sono un popolo indottrinato da anni e anni di propaganda. Ataturk, il ”padre dei turchi”, ti guarda da ogni muro, che sia di un ufficio pubblico o di una abitazione privata. E’ un po’ come il crocefisso in Italia. Il Paese è in crescita economica e si sta mettendo al pari di alcune nazioni europee. Ha addirittura dato un ultimatum all’Unione europea entro il quale, se non ancora accettata a farne parte, rifiuterà di entrarci in futuro».
Anche se, da quello che raccontano i media, a livello di democrazia e libertà
Un gruppetto di ragazzi nella cittadina di Mardindi espressione, la Turchia è ancora lontana dall’Europa.
«C’è carenza di libertà, anche se pian piano si stanno facendo piccolissimi passi avanti. Fino a poco tempo fa autori come Marx o testi comunisti erano proibiti, senza contare gli innumerevoli processi a molti personaggi famosi. Uno su tutti al premio Nobel Orhan Pamuk per ”vilipendio dell’identità nazionale turca”. Il motivo? Aver parlato del genocidio degli armeni per opera dell’esercito dell’impero ottomano nel 1915. C’è ancora repressione e violazione dei diritti umani, soprattutto se si parla di curdi e Kurdistan (tra il governo turco e la minoranza curda nel paese, che chiede l’indipendenza, è in atto un conflitto che si protrae da oltre 20 anni, ndr)».
E le persone come vivono la situazione?
«La gente non è abituata a pensare fuori dagli schemi, né apparentemente vuole farlo. Vivo a due passi dalla guerra in Siria, ma tutti continuano ad ignorare la situazione pensando soltanto ai vantaggi economici che possono trarne. Pur sapendo – e confermandomi – quanto la Turchia, invece, abbia le mani in pasta in questa vicenda. E’ un grande Paese che deve ancora trovare la sua strada per la libertà, cercando però di mantenere la sua identità nazionale e culturale, fatta di secoli di storia».
Quali sono le differenze principali con il nostro paese? E con la Sicilia?
«C’è molto in comune con l’Italia e tanto con la Sicilia. Dai paesaggi, ai gesti, ad alcune usanze. Così come c’è tantissimo di diverso».
Ci sono storie, aneddoti o incontri che ti hanno colpito particolarmente?
«Durante questi viaggi ci sono state tantissime situazioni che credo non scorderò mai più. La maggior parte l’ho raccontata nel mio blog. Ad esempio, la notte in cui nella città di Van ci imbucammo ad una festa di matrimonio a ballare e poi scappammo via con il nostro ”bus privato”. Ma la cosa che più mi ha stupito è la cordialità e l’ospitalità delle persone, qualità che l’Italia ha ormai dimenticato da tempo, perdendo la fiducia nel prossimo. Questo mi mette molta tristezza. Fidarci l’uno dell’altro ed essere onesti tra di noi e pronti ad aiutare chi ha bisogno sono cose che anche noi italiani dovremmo ritrovare, soprattutto di questi tempi in cui apparentemente non ci si può fidare di nessuno».
Sul blog racconti sopratutto delle tue avventure in viaggio. Anche a bordo di mezzi molto singolari. Come ti sposti attraverso il paese?
«A parte il carro trainato dagli animali, credo di aver utilizzato ogni altro mezzo possibile per spostarmi: dal camion dei rifiuti all’aereo, dal traghetto al trattore agricolo. Quello che preferisco è l’autostop, perché mi permette di viaggiare conoscendo la gente del posto, imparare meglio la lingua e gli usi, ed entrare in contatto con la realtà locale. Senza contare che si adatta perfettamente alle mie risorse economiche decisamente scarse. Quando per motivi di tempo o di distanza non si può andare in autostop, uso i mezzi pubblici».
Cerchi qualcosa in particolare nei tuoi viaggi?
«Quello che cerco è un modo di viaggiare che mi permetta di saltare le barriere che separano lo straniero dalla vita reale degli abitanti. Cerco di vivere a pieno le usanze e le tradizioni locali, evitando, se possibile, i luoghi turistici o occidentalizzati».
Quando è previsto il ritorno a Catania e cosa porterai con te di questa esperienza così particolare per un ragazzo della tua età?
«Ritornerò presto a casa. Il mio viaggio volge a termine e conto di essere a Catania per i primi di marzo. Porterò con me una valigia piena di esperienze, foto, ricordi e qualche calamita».
[Foto di C’era una volta in Turchia]
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