Podere mafioso, i Laudani dietro i finti braccianti Tra persone coinvolte c’è pure dipendente Inps

Una presunta
truffa da un milione e 500mila euro ai danni dello Stato, dieci società fantasma scoperte, 500 finti braccianti e 20 indagatiÈ il bilancio complessivo dell’ operazione ribattezzata Podere mafioso, portata a termine all’alba di oggi dai finanzieri del comando provinciale di Catania. L’indagine ha permesso di identificare gli autori di una presunta mega truffa e vede coinvolti anche alcuni presunti affiliati del clan mafioso dei Laudani di Paternò e Giarre. Tra gli indagati ci sono anche colletti bianchi e un impiegato, ritenuto compiacente, degli uffici Inps giarresi.

Gli arrestati sono accusati a vario titolo di 
associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato per il conseguimento di indebite indennità di disoccupazione agricola e corruzione, alcuni fatti aggravati dal metodo mafioso. L’inchiesta durata quasi due anni (dall’inizio del 2014 al dicembre del 2016) ha consentito di fare chiarezza su una presunta organizzazione criminale ben strutturata, dove ogni singolo componente aveva un compito preciso. Per i finanzieri del comando provinciale i promotori della truffa erano tre soggetti legati ai Laudani: si tratta di Leonardo Patanè (meglio conosciuto come Nardo Caramma attualmente detenuto ad Augusta per droga), Giovanni Muscolino e Antonio Magro, rispettivamente considerati dagli inquirenti i vertici dei gruppi di Giarre e Paternò dei Laudani (entrambi già in  carcere a Bicocca per mafia). Magro è anche considerato il mandante dell’omicidio di Maurizio Maccarrone, l’impiegato di 43 anni, ucciso il 14 novembre del 2014 in via Cassarà ad Adrano

Secondo gli inquirenti i tre arrestati, attraverso il ragioniere di Giarre Alfio Lisi, avrebbero costituito diverse aziende fantasma. Società, intestate a persone incensurate, che figuravano sulla carta ma che non avevano la titolarità di fondi agricoli e la manodopera di braccianti. L’obiettivo sarebbe stato quello di maturare i diritti per la concessione della disoccupazione agricola. Per realizzare il piano Patanè si sarebbe avvalso della collaborazione della moglie
Daniela Wissel, dei figli Orazio e Ramona, tutti finiti ai domiciliari. Importante la presenza di Lisi, con il professionista che sarebbe stato incaricato di formalizzare la costituzione delle aziende agricole, di iscrivere i falsi lavoratori e di portare a termine i compiti con la predisposizione delle buste paga. Le indagini hanno consentito di appurare che il ragioniere sarebbe stato compensato dall’organizzazione attraverso il versamento di contanti (fino a 800 euro a settimana) e la messa a disposizione di un’autovettura

Presenti nell’inchiesta anche i cosiddetti reclutatori di braccianti agricoli: si tratterebbe di 
Michele Cirami, Vincenzo Cucchiara, Agatino Guarrera, Francesco Gallipoli, Fabrizio Giallongo, Ettore Riccobono, Claudio SperanzaVincenzo Vinciullo e il presunto coordinatore Carmelo Tancredi, tutti finiti agli arresti domiciliari. Costoro si occupavano di reclutare i falsi braccianti agricoli e di recuperare dagli stessi, anche con la violenza – in un caso un falso bracciante è stato picchiato perché non avrebbe dato la somma derivante dalla disoccupazione quando in realtà l’uomo non l’aveva ricevuta – la parte dell’indennità percepita, nella misura del 50 per cento che spettava all’organizzazione. I reclutatori erano a loro volta braccianti e vedevano ricompensata la loro presunta funzione anche con la percezione dell’indebita indennità. 

L’ammontare di quest’ultima oscillava
da un minimo di tremila euro a un massimo di settemila euro annui. Altro soggetto chiave dell’indagine è Filippo Bucolo, dipendente dell’agenzia Inps di Giarre che, svolgendo le sue mansioni allo sportello, avrebbe comunicato a Leonardo Patanè l’esatto ammontare delle liquidazioni seguendo da vicino ogni pratica amministrativa dell’organizzazione. Le attività tecniche eseguite dalla finanza durante l’indagine hanno consentito anche di acquisire gli elementi necessari per individuare il responsabile del tentato omicidio di Francesco Pistone (anch’egli già detenuto per la sua appartenenza al clan Laudani) avvenuto in il 15 gennaio 2015 a San Giovanni La Punta.

Salvatore Caruso

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