«Che schifo trovarsi insieme ai mafiosi di cui ho parlato, contro cui ho puntato il dito e ho chiamato pezzi di merda». Si è trasformata in un’udienza a porte chiuse quella di questa mattina davanti alla gup Gabriella Natale per decidere sul rinvio a giudizio di Pino Maniaci, direttore di Telejato. L’ aula infatti, tra imputati, avvocati e stampa, era particolarmente gremita. Nulla di fatto, però. Rinviata per un difetto di notifica a Vito Spina, attuale vice sindaco di Borgetto. Si conclude così la prima, breve, puntata, della vicenda processuale di Pino Maniaci, con il giornalista accusato di estorsione, ma senza l’aggravante del metodo mafioso, in una piccola aula stracolma insieme a 12 presunti esponenti della famiglia mafiosa di Borgetto e della Cosa nostra del Partinicese.
Da par loro i legali di Maniaci: Antonino Ingroia e Bartolo Parrino, chiedono che il processo si tenga a porte aperte e che venga separato da quello contro i mafiosi, dato che nel suo caso non c’è nessun tipo di legame con l’organizzazione criminale di Cosa nostra. «È innaturale – dice Ingroia – che un processo con una tale attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale, con molte persone offese e associazioni che chiedono di costituirsi parte civile, si svolga totalmente a porte chiuse». Non solo, l’avvocato contesta anche le modalità in cui il procedimento viene celebrato: «La seconda cosa innaturale è che Maniaci debba essere processato insieme ai mafiosi che lui ha sempre combattuto».
«Altra questione sono poi i reati che gli sono contestati dei quali poi discuteremo – conclude il legale – ma è la stessa Procura nell’accusa a dire che non c’è nessuna connessione mafiosa. Si tratta di una piccolissima estorsione, a nostro avviso infondata. Perché devono essere processati insieme? Pino Maniaci che fra l’altro tutt’ora è sottoposto a tutela dei carabinieri perché a rischio di ritorsioni da parte di Cosa nostra».
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