Pietro Scaglione, un magistrato scomodo che la mafia ha cercato di screditare anche da morto

LE INTERCETTAZIONI DI TOTO’ RIINA SULL’EX PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI PALERMO CI RICORDANO CHE LA VERITA’, SUI FATTI DI MAFIA, E’ SEMPRE PROBLEMATICA. SPECIE SE DI MEZZO C’E’ LO STATO ITALIANO

Scrive su facebook Enzo Napoli, dirigente del PD siciliano di pensiero laico e autonomo: “Sono sconcertato dall’enfasi che i mass media danno alle intercettazioni di Riina. Ma il dubbio che sappia di essere intercettato e lanci apposta precisi messaggi (e disposizioni), viene solo a me?”.

Considerazione intelligente, che cozza, però, con un’Italia conformista. Che, oltre a dover fare i conti con gli storici che non sempre raccontano la verità (vedi il Risorgimento in Sicilia) affida la ricostruzione di eventi tutto sommato non lontani alle parole dei mafiosi.

Di tutte le rivelazioni del boss dei boss Totò Riina ce n’è una, in particolare, che ci ha colpito: la ricostruzione dell’omicidio di Pietro Scaglione avvenuto il 5 maggio del 1971.

Scaglione è stato un grande magistrato. Quando venne ucciso ricopriva la carica di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. Riina – intercettato mentre parla nel carcere dov’è rinchiuso – dice che ad uccidere l’alto magistrato è stata la mafia.

In effetti, nel 1984, Tommaso Buscetta, pentito storico di Cosa nostra, dice al giudice Giovanni Falcone che Scaglione era un magistrato integerrimo, grande nemico dei mafiosi. E aggiunge che ad ucciderlo sono stati i corleonesi di Luciano Liggio e di Totò Riina, con il “sì” di un altro grande capo mafia, Pippo Calò.

E’ grazie anche alle ricostruzioni di Falcone che viene messa la parole fine a tutti i tentativi, durati oltre un decennio, di screditare la figura di Scaglione.

Sono stati due, grosso modo, i filoni con i quali si è cercato di appannare l’immagine di Scaglione.

Il primo filone, per così dire, si sostanzia nei dubbi manifestati da Giorgio Pisanò, storico dirigente del Movimento sociale italiano, parlamentare e componente della Commissione Antimafia nazionale. Autore, tra le altre cose, di una delle due relazioni di minoranza scritta a chiusura dei lavori della prima Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia, nel 1976 (la seconda relazione di minoranza è stata scritta da Pio La Torre, storico dirigente del Pci siciliano ucciso il 30 aprile del 1982).

 

Pisanò rimproverava a Scaglione la mancata cattura di Liggio nel 1969. In realtà, in quell’occasione, con molta probabilità, il magistrato era stato tratto in inganno da ‘qualcuno’. E, in ogni caso, la sceneggiata organizzata per non catturare Liggio andava ben oltre Scaglione, che probabilmente è stato vittima di questo ‘caso’.

Pisanò è stato un bravo parlamentare. Molto informato sulle vicende contorte del nostro Paese (si è occupato anche del crack di Michele Sindona e della P2). Ma su Scaglione, con molta probabilità, è stato informato male.

Un secondo filone utilizzato per denigrare Scaglione è stato il ‘caso’ di Gaspare Pisciotta. Le cronache più o meno interessate, nel decennio che va dalla sua uccisione fino agli primi anni ’80 del secolo passato, ricordavano spesso che Scaglione, nei primi giorni del 1954, allora nei panni di pubblico ministero a Palermo, aveva interrogato Gaspare Pisciotta – braccio destro del bandito Salvatore Giuliano – qualche giorno prima che lo stesso Pisciotta venisse avvelenato al carcere Ucciardone di Palermo con un caffè ‘corretto’ con la stricnina.

Ma se nel caso della mancata cattura di Liggio ‘qualcuno’ era stato abile a imbrogliare le carte tirando dentro Scaglione, nel caso dell’omicidio di Gaspare Pisciotta le accuse mosse allo stesso Scaglione sono sempre state illogiche. Se Scaglione avesse fatto parte del ‘gioco’ che porterà all’eliminazione di Pisciotta (forse uno dei pochi a conoscere la verità su Salvatore Giuliano) che motivo avrebbe avuto di andarlo a interrogare in carcere?

Chi ha fatto uccidere Pisciotta l’ha fatto per eliminare un testimone scomodo. E l’ha eliminato per evitare che parlasse.

Scaglione va ad interrogare Pisciotta proprio perché non è a conoscenza di tutti i retroscena e degli ‘intrighi’ di quello che il giornalista Pietro Zullino, nel libro “Guida ai misteri e piaceri di Palermo”, definisce “L’intrigo fondamentale”.

 

La verità è che Scaglione era un magistrato scomodo in una Palermo in quegli anni acquiescente. Quando si parla di Scaglione molti dimenticano che negli anni ’60 – gli anni roventi del ‘sacco edilizio’ di Palermo – Scaglione aveva più volte a provato a creare seri problemi a Salvo Lima e a Vito Ciancimino. Che lo detestavano ‘amabilmente’.

L’omicidio di Scaglione apre in Italia – e non soltanto a Palermo e in Sicilia – una stagione tragica che arriva fino al 1992 e, forse, oltre.

Scaglione era perfettamente al corrente dei legami tra mafia e politica. Quando diventa Procuratore della Repubblica di Palermo la sua nomina non è ben vista da certi ambienti politici. Siciliani e romani.

Oltre alle dichiarazioni di Buscetta risulta molto interessante la ricostruzione fatta da un altro pentito di mafia, Antonio Calderone. Che ha dichiarato che l’omicidio di Scaglione va inquadrato in un contesto di azioni eversive messe in atto dai mafiosi in seguito al fallito golpe Borghese.

Azioni eversive che i mafiosi, in quegli anni, hanno messo in atto con ‘pezzi’ dello Stato. Proprio come è avvenuto con le stragi del 1992 che hanno portato all’eliminazione di altri due grandi magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Ultima notazione. Scaglione, come già ricordato, venne ammazzato il 5 maggio del 1971. Si trovava a bordo di una Fiat 1500 guidata dal suo agente di custodia, Antonio Lo Russo.

Erano appena usciti dal cimitero dei Cappuccini. Imboccata la via dei Cipressi, l’automobile nella quale viaggiavano Scaglione e Lo Russo venne bloccata da un’altra automobile. Dalla quale uscirono due, forse tre uomini armati di tutto punto. Il procuratore della Repubblica e il suo agente di custodia vennero travolti da una tempesta di piombo.

Nel volto di Scaglione morto qualcuno notò uno sguardo strano, quasi un accenno di stupore. Troppo poco, ovviamente, per affermare che il procuratore potesse aver riconosciuto qualcuno dei suoi killer.

Ma il dubbio – incrociandolo con le dichiarazioni di Calderone – potrebbe anche starci. Chissà.

 

Giulio Ambrosetti

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