Un pestaggio in piena regola, messo in atto da un gruppo di diverse persone (sei o sette, secondo i testimoni) ai danni di un pusher migrante non più che ventenne. È il racconto che due giovanissimi – 18 e 21 anni – fanno alla redazione di MeridioNews rispetto a quanto sarebbe avvenuto lunedì sera, tra mezzanotte e l’una del mattino, in piazza Currò, nei pressi dell’Agorà hostel, meglio noto come l’Ostello. «Noi eravamo fermi proprio lì accanto – spiega uno dei due – quando abbiamo visto questi ragazzi arrivare». Poco più che trentenni, a giudicare dall’aspetto, alti e dal fisico sportivo. «Uno di loro (o forse due, solo su questo punto le versioni dei giovani sono discordanti, ndr) indossava una maglietta di Casa Pound, con la classica tartaruga stampata sopra», continua il resoconto.
In base alla loro ricostruzione, il gruppo inizia a parlare con il giovane di colore (che vendeva piccole quantità di marijuana), ma dopo un po’ i toni si alzano. Lo spacciatore sarebbe stato circondato e spinto contro il muro, proprio accanto alla scalinata della chiesa che dà su piazza Currò. A quel punto sarebbe partito un primo cazzotto. «Un pugno in piena faccia – proseguono i ragazzi. Il migrante sbatte la testa contro il muro e cade per terra. Mentre si trova a terra lo prendono a calci, poi lo mettono in piedi per i capelli e cominciano a spintonarlo per allontanarlo da dove si trovava». A suon di pedate il ragazzo sarebbe stato spinto fino all’incrocio nei pressi di piazza dell’Indirizzo, da dove poi sarebbe riuscito a scappare. «A spacciare era insieme ad altri tre giovani come lui, che però sono scappati tutti», continuano.
Per qualche metro, il gruppo di aggressori avrebbe inseguito il migrante e i suoi amici, ma poi avrebbe desistito. «Uno di loro aveva una specie di spranga in mano, abbastanza sottile», aggiungono. L’oggetto sarebbe stato usato per dare al giovane un paio di colpi sulle spalle. «Accanto a noi, vicino a quelle scalinate, c’erano almeno un’altra trentina di persone, e nessuno ha mosso un dito. Noi, onestamente, non sapevamo cosa fare: se fossimo intervenuti da soli probabilmente avremmo perso». In ogni caso, spiegano, in quel momento non hanno avuto la prontezza di fare molto. «Il pestaggio è durato al massimo tre minuti – sostiene il più grande di loro – Io ancora mi sento in colpa per non avere provato a intervenire».
Perché non chiamare la polizia? «Vista la situazione, c’era il rischio che ci finisse in mezzo anche il ragazzo picchiato. Insomma, stava spacciando, a lui sarebbe andata a finire molto peggio». «Quello che più mi ha angosciato – aggiunge il più giovane – è che, mentre io e il mio amico tentavamo di coinvolgere altri a intervenire, chi guardava non muoveva un dito. Piuttosto che interessarsi, sono rimasti a guardare. Un menefreghismo generale assurdo». Quella serata, in piazza Currò un black out rendeva l’intera zona piuttosto buia, «ma si vedeva tutto abbastanza bene. Si sentivano i rumori delle botte e i versi del ragazzo che veniva picchiato». Contattati dalla redazione di MeridioNews, chi lavora all’Ostello – l’affollato locale a poche decine di metri di distanza – dice di non avere sentito niente.
«Non è strano, stavano lavorando e non si vedeva benissimo – aggiunge il 18enne – Ma chi sedeva ai tavoli più esterni si è accorto di certo che qualcosa stava succedendo». Nonostante la maglietta di Casa Pound indossata da almeno uno degli aggressori, il collegamento tra il pestaggio e la formazione politica neofascista non è diretto. «Non abbiamo stampato maglie di Casa Pound Catania né ci sono altre formazioni in Sicilia, eccetto il gruppo di Palermo, che siano autorizzate a diffondere questo genere di materiale», replica Pierluigi Reale, responsabile del gruppo catanese. «Non mi risulta che ci siano militanti palermitani al momento in città – prosegue Reale – Escludo categoricamente che possa essere stato qualcuno dei nostri. Da quando abbiamo aperto a Catania siamo stati vittime di intimidazioni e atti di vandalismo di qualunque genere e non abbiamo mai risposto. Il nostro metodo è lasciare che lavorino le forze dell’ordine».
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