Petrolio, bandiera nera di Legambiente a Eni «Con loro richieste, in Sicilia pozzi e cemento»

Un affare soltanto per le compagnie petrolifere, una minaccia per i territori e le persone che ci vivono. Il dossier di Legambiente sulle estrazioni in Sicilia denuncia come quello nero sia un oro che serve pressoché a nulla se confrontato con le esigenze del Paese. Dato che, secondo gli ambientalisti e gli attivisti che si oppongono alle trivelle, dovrebbe spingere alla progressiva dismissione delle attività.

La sintesi di queste considerazioni arriva da quanto accaduto nel 2016: la Sicilia, con le estrazioni a terra e mare, con quasi un milione di tonnellate di greggio ha contribuito al 25 per cento della produzione nazionale. Quantità che, tuttavia, rappresenta appena l’1,6 per cento del consumo annuale in Italia. Ciò, però, ha comunque spinto le società attive nel settore a chiedere nuove concessioni. Tra esse Goletta Verde segnala Eni ed Edison, detentrici del 57 per cento dei titoli – tra concessioni, permessi e istanze di ricerca – e alle quali viene assegnata una simbolica bandiera nera per essere «arrivate a contestare con arroganza il piano paesaggistico in provincia di Ragusa».

A riguardo Legambiente sottolinea che «se il Tar dovesse accogliere il loro ricorso, non solo si aprirebbe la strada a ulteriori pozzi sul territorio, ma si ritornerebbe indietro di decenni ai tempi dell’assalto della cementificazione al territorio siciliano». Il pronunciamento del Tribunale amministrativo regionale è particolarmente atteso in quanto Eni ed Edision hanno chiesto di derogare all’articolo 20 del piano paesaggistico che, nel prevedere sostanzialmente l’immodificabilità dei suoli suddividendoli in tre fasce di protezione, di fatto rappresenta un elemento di tutela fondamentale per il patrimonio naturale e culturale del Ragusano. «Se decadesse questo articolo – si legge in un comunicato dell’associazione – salterebbero tutti quanti i piani paesaggistici della Sicilia che non sono regionali ma suddivisi per province. Saltando i piani paesaggistici, ad avere la meglio oltre al petrolio ci sarebbe sicuramente anche il cemento e i tanti progetti a cui questa pianificazione ha posto un freno».

A preoccupare, tuttavia, non è solo la fame delle compagnie petrolifere – che sono in attesa di ricevere risposta per quattro istanze di concessione di coltivazione – ma anche l’azione del governo che, a dispetto delle spinte no-Triv che hanno portato al referendum dell’anno passato (poi bocciato per mancato superamento del quorum), con un decreto ad hoc negli anni passati ha derogato al divieto di nuovi pozzi e piattaforme entro le 12 miglia dalla costa. È il caso della piattaforma Vega B, che dovrebbe sorgere tra Ragusa e Scicli. «Il canale di Sicilia oggi ospita l’unica richiesta presente nel mare italiano, per la realizzazione di una nuova piattaforma petrolifera a meno di 12 miglia dal sito di interesse comunitario Fondali Foce del fiume Irminio – scrivono gli ambientalisti -. Una richiesta che purtroppo continua ad andare avanti nel suo iter autorizzativo. Nel luglio 2016 si è aperta addirittura una nuova istruttoria, conseguente alla richiesta di Edison di implementare il programma di coltivazione con ulteriori otto pozzi, ovvero triplicandone il numero».

Nel dossier, infine, si fa riferimento al fatto che provvedimenti di questo tipo non favoriscono lo sviluppo delle energie rinnovabili. «È arrivato il momento di archiviare tutti i privilegi di cui godono i petrolieri, tanto più che – affermano gli ambientalisti – le fonti rinnovabili, efficaci e sempre più competitive da un punto di vista economico, vengono frenate da questi privilegi e da assurde nuove barriere che ne impediscono la diffusione in un Paese che avrebbe tutto da guadagnare nel diventare sempre meno dipendente dalle fonti fossili e dalle importazioni».    

Redazione

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