Pesca, le novità su cui punta il governo Musumeci Bandiera: «Comparto può rinascere dall’ittiturismo»

Una pesca nuova, «2.0» come la definisce l’assessore regionale all’Agricoltura e Pesca Mediterranea, Edy Bandiera, che ha predisposto il disegno di legge di riforma del comparto, concordandone i contenuti con le parti sociali. Una norma attesa da anni dai pescatori siciliani e che ha l’obiettivo di «declinare uno dei settori chiave della nostra economia in chiave moderna».

Cos’è una pesca 2.0?
«Immaginiamo un’economia che non sia più legata soltanto alla pesca in mare, ma guardi anche alla trasformazione. Senza dimenticare la nostra autonomia».

In che modo?
«In armonia con le modifiche del Titolo V della Costituzione, intanto, all’interno delle acque territoriali entro le 12 miglia adesso siamo noi a gestirci, attraverso i piani di gestione. Non è più l’Europa a dirci dove pescare, cosa pescare, con quali strumenti farlo».

Naturalmente le quote tonno sono fuori da questo ragionamento.
«Su quel fronte intanto abbiamo ottenuto un importante risultato: la tonnara fissa di Favignana tornerà ad essere una tonnara dove si fa la pesca produttiva». 

Però le quote restano quelle.
«Abbiamo impugnato allo Stato l’ultimo decreto che fu emesso in tema di ripartizione delle quote tonno e siamo pronti a continuare la nostra battaglia, rivendicando il riequilibrio delle quote. Oggi una sola barca della Campania ha le stesse quote di tutta la Sicilia, motivo per cui siamo in causa presso il Tar di Roma che ha la competenza in materia. Chiaramente con la regolamentazione entro le 12 miglia non possiamo regolamentare noi le quote, ma possiamo disciplinare su tutto il resto. Dai periodi di pesca, ai tipi di pesca, fino agli attrezzi, la dimensione e tutta una serie di aspetti importanti che stiamo accompagnando ai finanziamenti coi fondi comunitari, per consentire alle aziende di pesca di potersi innovare, comprare attrezzature selettive, più compatibili con l’ambiente».

E poi c’è il nuovo ddl di riforma del settore.
«Sì, è una norma che mette al centro il pescatore e lo agevola nell’attività di vendita diretta, di commercializzazione, di trasformazione. Ma soprattutto apriamo a quel grande tema di carattere economico che è il pescaturismo e l’ittiturismo, così com’è stato 20 o 30 anni fa con l’agricoltura, quando il nostro agricoltore è diventato anche un bravo ristoratore o albergatore. Così immaginiamo anche la promozione del pescaturismo e dell’ittiturismo, che saranno regolamentati all’interno della legge, dando la possibilità alle imprese di pesca di avere così un reddito complementare e consentendo anche ai giovani di accedere al comparto in maniera innovativa».

Sul fronte zootecnico, invece?
«Lì la novità, intanto, è che la Sicilia diventa capofila dei controlli funzionali e della tenuta dei registri, in collaborazione coi consorzi di ricerca delle Università siciliane. In questo modo potremo riattivare i controlli sul patrimonio zootecnico, fermi ormai da due anni».

La Sicilia negli ultimi anni guarda sempre con maggiore interesse al biologico.
«Siamo stati i primi e unici in Italia ad ottenere la deroga al grano bio. È un grande risultato, che ci è molto invidiato dalle altre regioni, ma qui noi abbiamo lavorato mesi insieme alle università e alle organizzazioni di categoria. In questo momento, soltanto in Sicilia si può ripetere la coltivazione del grano biologico, mentre nelle altre parti d’Italia possono farla una volta ogni tre anni».

E poi c’è il programma di Sviluppo Rurale.
«Abbiamo approvato la misura 6.1, che è il finanziamento legato ai giovani in agricoltura con un impegno di 235 milioni. L’altra misura sbloccata è la 4.2, che guarda invece alle trasformazioni alimentari, con un impegno di 148 milioni per finanziare quasi cento progetti di aziende che trasformeranno i prodotti. Oggi possiamo dire che la nostra non è più un’agricoltura che è mera produzione di prodotti affidati poi a chissà quale mercato, ma diamo valore alla materia prima».

Che è il più grande, tra i temi che pongono le associazioni di categoria.
«Il conto è semplice: quattro arance in un albero, quando ce le pagano, ce le pagano 10 centesimi, ma le stesse quattro arance spremute e messe in un brick di tetrapack le troviamo al supermercato a 2,50 euro, 25 volte l’incremento di valore. Tutto questo per un agricoltore è insostenibile, se non si interviene a monte». 

Intervenire significa soprattutto dialogare con la Grande distribuzione. Cosa state facendo in questo senso?
«Proprio la scorsa settimana abbiamo attivato a Vittoria un tavolo sulla crisi agricola, favorendo l’incontro tra agricoltori e grande distribuzione. Ebbene, entrambe le parti hanno firmato i contratti e trovato l’accordo: i nostri agricoltori entrano così dentro la grande distribuzione, senza intermediazioni e scavalcando le importazioni dai mercati esteri».

Miriam Di Peri

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