Perquisizione nello studio di un avvocato: Palermo come Bogotà?

“Quello che posso dire è che presenterò, per conto del mio assistito, l’esposto-denuncia sia alla Procura della Repubblica di Palermo, sia alla Procura della Repubblica di Caltanissetta”.

Taglia corto, Stefano Giordano (nella foto a sinistra), avvocato penalista, protagonista, suo malgrado, di una storia che non sembra ambientata in un Paese ‘normale’. Vediamo, allora, di raccontare questa storia. Dando la parola all’avvocato Giordano.

Tutto comincia nel pomeriggio di giovedì scorso. “Sono nel mio studio – racconta Stefano Giordano -. Arriva una telefonata. E’ un collega. Mi dice: ‘Per favore, puoi recarti di corsa nel mio studio? E’ in corso una perquisizione e c’è mia madre, ottantenne, spaventatissima’. Il mio collega, in quel momento, si trova fuori Palermo. Mi precipito nell’abitazione del mio collega che funge anche da studio professionale. Sono le 18 e 30”.

“Trovo i poliziotti del Commissariato della Zisa. Trovo la casa in subbuglio. E trovo, soprattutto, l’anziana signora, visibilmente spaventata, che accompagna gli agenti nelle operazioni di perquisizione. Faccio presente alla signora che lei può restarsene tranquilla. Non è obbligata a seguire gli agenti nelle operazioni di perquisizione. Su questo punto nasce una discussione, piuttosto animata, tra me e gli agenti”.

“Chiedo, in qualità di legale del mio collega, che ovviamente è già diventato il mio assistito, di leggere il decreto di perquisizione. Voglio capire di che si tratta. E se ci sono le condizioni per chiedere l’applicazione dell’articolo 103 del Codice di procedura penale. Voglio capire, insomma, se la perquisizione è un atto autonomo della Polizia giudiziaria o se, invece, la Polizia sta agendo su delega della Procura della Repubblica. Ma mi viene opposto un rifiuto”.

“Nel frattempo arriva il mio collega. Tutto questo mentre i poliziotti sono entrati nello studio del mio assistito mettendo mano ai fascicoli. A quanto sono riuscito a capire, cercavano una pistola. Che non è stata trovata. Di fatto, la perquisizione è stata negativa”.

“La cosa che mi ha lasciato di stucco è che, alla fine della perquisizione, i poliziotti si sono rifiutati di verbalizzare l’accaduto. Io ho precisato che la verbalizzazione Andava fatta. Anche perché dovevo rendere le mie dichiarazioni. Ma loro si sono rifiutati di verbalizzare le mie dichiarazioni. E hanno intimato al mio assistito di recarsi con loro in Commissariato. E hanno anche aggiunto che, se non li avesse seguiti, lo avrebbero trascinato via in manette. Io mi sono opposto. Ne è nato un altro alterco. Alla fine sono andati via senza aver verbalizzato l’accaduto e senza portarsi dietro il mio assistito”.

“Subito dopo ho rintracciato il responsabile del Commissariato di Polizia della Zisa. Al quale ho raccontato tutto quello che era successo. Il Commissario mi ha detto che avrebbe fatto ritornare i poliziotti per la verbalizzazione”.

“Alle 23 o giù di lì gli agenti di Polizia sono tornati nella studio del mio assistito. E hanno iniziato a verbalizzare. Hanno scritto di essere entrati in un appartamento e non in uno studio legale. Io ho obiettato che le cose non stavano così. E ho precisato che loro sapevano benissimo che erano entrati nello studio di un avvocato. Ho ripetutamente provato a far mettere a verbale le mie considerazioni su una vicenda a mio avviso incredibile. Ma, ancora una volta, si sono rifiutati di verbalizzare le mie dichiarazioni”.

“Ho richiamato il Commissariato della Zisa. Dove mi sono recato intorno a mezzanotte. Lì ho reso le mie dichiarazioni. E ho rettificato quanto verbalizzato dagli agenti di Polizia”.

“Ovviamente, questa storia non si chiude qui. Ho già informato il Consiglio dell’Ordine degli avvocati. Raccontando tutto quello che è successo. Mi accingo a presentare una circostanziata denuncia per conto del mio assistito. E siccome, ancora oggi – cosa, questa, che considero incredibile e non degna di uno Stato di diritto – non ho ancora capito se la perquisizione è stata effettuata autonomamente dalla Polizia giudiziaria o su delega della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, presenterò una denuncia, per conto del mio assistito, sia alla Procura della Repubblica di Palermo, sia alla Procura della Repubblica di Caltanissetta”.

“Detto questo, due ultime considerazioni – conclude l’avvocato Stefano Giordano -. Prima considerazione: giovedì sera, piuttosto che a Palermo, nella mia città, mi è sembrato di aver vissuto questa storia a Bogotà…Seconda considerazione: tutto quello che è avvenuto è stato filmato. Di questa storia ci sono pure le immagini”.

 

Redazione

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