«Matteo Messina Denaro sarà arrestato presto, questo è certo. Il boss ritengo che oggi non ha alcuna valenza operativa dentro Cosa nostra, è il reggente della mafia trapanese, ma non ha alcuna operatività». Lo ha detto in mattinata a Palermo il generale Giuseppe Governale, numero uno della Dia, nel corso del suo intervento al Premio Mario e Giuseppe Francese. «Per la cattura di Messina Denaro lavora giorno e notte una task force di poliziotti e carabinieri che opera con grande professionalità e generosità e quindi sono certo che sarà assicurato alla giustizia», ha sottolineato Governale.
Il superlatitante trova naturalmente spazio anche nella relazione sull’amministrazione della giustizia nel 2018 del presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, che ha competenza anche sul distretto di Trapani. «Si può ragionevolmente escludere una interferenza del noto latitante Messina Denaro Matteo nelle dinamiche associative dei mandamenti palermitani», sottolinea Frasca, ponendo un altro tassello nella tesi, ormai prevalente tra investigatori e inquirenti, che vuole un Matteo Messina Denaro sempre più estraneo alle decisioni di Cosa Nostra sul territorio.
Allo stesso tempo però rimane intatto il potere della sua famiglia. «Le indagini coordinate dalla Dda dal 1 luglio 2107 al 30 giugno 2018 nella provincia di Trapani hanno registrato ancora il potere mafioso saldamente nelle mani della famiglia Messina Denaro che, come è dimostrato da numerosi atti giudiziari oramai irrevocabili, vanta un elevato novero di suoi componenti che hanno ricoperto e ricoprono tutt’ora ruoli di assoluto rilievo all’interno dell’intera provincia mafiosa trapanese. L’azione investigativa portata avanti dalle diverse forze di polizia, finalizzata a localizzare il latitante e a disarticolare il reticolo di protezione che gli consente tuttora di mantenere la latitanza e “governare” il territorio trapanese, ha indotto come è noto Matteo Messina Denaro a sospendere le azioni clamorose, stragi e omicidi eccellenti, per operare in una cornice di pace apparente, utilizzando – per il perseguimento dei propri fini illeciti – soggetti insospettabili, che hanno permesso a Cosa nostra di penetrare nel tessuto sociale ed economico, assumendo il controllo di remunerativi settori dell’economia legale, quali la grande distribuzione alimentare e la produzione di energie alternative».
Il presidente della Corte d’Appello ricorda quindi il «criterio dinastico», il vincolo di sangue, usato dal latitante per scegliere i soggetti da porre al comando dell’organizzazione mafiosa. «Così, come negli ultimi anni sono stati progressivamente tratti in arresto e poi condannati alcuni dei più stretti congiunti del latitante (prima il cognato Filippo Guttadauro, poi il fratello Salvatore Messina Denaro, quindi il cognato Vincenzo Panicola e il cugino Giovanni Filardo, poi ancora il cugino acquisito Lorenzo Cimarosa, la sorella Patrizia Messina Denaro, il nipote Francesco Guttadauro ed il nipote Luca Bellomo), tra il luglio 2017 e il giugno 2018 sono stati tratti in arresto gli unici due cognati del latitante, e rappresentanti maschili della famiglia di sangue, in stato di libertà».
Particolare attenzione all’omicidio di stampo mafioso della mattina del 6 luglio 2017, perché nel Trapanese da molto tempo Cosa Nostra non uccideva. Mentre si trovava nel suo podere in Contrada Bosco Vecchio, a Tre Fontane, veniva ucciso, in un agguato tipicamente mafioso, Giuseppe Marcianò, genero del noto esponente mafioso di Mazara del Vallo, Pino Burzotta, e all’epoca sottoposto ad indagini in quanto indiziato di far parte della famiglia di Campobello di Mazara. «L’analisi del contesto criminale in cui è maturato l’omicidio – si legge nella relazione – se ancora non ha consentito di individuarne mandanti ed esecutori materiali, ha tuttavia permesso di ricostruire lo scenario in cui è stata verosimilmente decisa la soppressione del Marcianò. Si tratta di un contesto caratterizzato da una percettibile contrapposizione tra alcuni esponenti della famiglia di Campobello di Mazara e altri della famiglia di Castelvetrano. Infatti, da intercettazioni ambientali svolte nell’ambito di diversi procedimenti pendenti, si è ricostruito, a partire dagli ultimi anni, un lento progetto di espansione territoriale da parte della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, che ha riguardato anche il territorio di Castelvetrano, divenuto vulnerabile a causa, per un verso, della mancanza su quel territorio di soggetti mafiosi di rango in libertà, e, per altro, dalla ritenuta, e in parte contestata, scelta di Matteo Messina Denaro il quale – nonostante gli arresti dei suoi uomini di fiducia e dei suoi più stretti familiari – non ha autorizzato omicidi e azioni violente, come invece auspicato da buona parte del popolo mafioso di quei territori».
Un contesto molto pericoloso ma ridimensionato, anche se «pronto a ridivenire attualissimo» precisa Frasca, grazie all’operazione Anno Zero che ha disarticolato l’attuale struttura operativa di Cosa nostra sui mandamenti mafiosi di Castelvetrano e di Mazara del Vallo. Proprio il territorio «roccaforte del latitante e che continua a garantirgli massima protezione e massima sicurezza».
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