Peppo, lo chef nella fattoria dei senza tetto Dal carcere alla strada, fino alla nuova vita

Gli ultimi 25 anni della sua vita li ha passati tra la galera e il marciapiede. Dal carcere dell’Asinara alle strade di Milano. Ma da detenuto e da clochard, Antonio Alessi, nato 57 anni fa a Palermo tra i popolari vicoli del Capo, non ha dimenticato la sua più grande passione: cucinare. Ha continuato a coltivarla, sfornando negli anni pasti per senza tetto e amici carcerati. Fino a quando è stata lei a garantirgli una possibilità di cambiamento.

Una svolta, l’ennesima della sua vita, che lo ha portato tra le colline della campagna toscana. A Serravalle Pistoiese per l’esattezza, dove Antonio, che tutti chiamano Peppo, fa lo chef in un vecchio casale del ‘400 trasformato nella prima fattoria interamente autogestita da clochard. «Mi invento i piatti in base a quello che c’è, i prodotti dell’orto e le donazioni che ci arrivano». Ogni giorno, tra pranzo e cena, une trentina di pasti. «Con tutto il finocchietto che abbiamo qui, la pasta con le sarde ci scapperà presto». Nel frattempo gli ospiti dell’agriturismo e i dodici clochard che lo gestiscono hanno potuto assaggiare la parmigiana di melanzane e gli arancini. Trent’anni lontano dalla Sicilia, di cui sedici in carcere e nove in strada, non sono serviti a dimenticare la cucina palermitana.

Un grazie, Peppo, lo deve a Wainer Molteni, milanese, ex senza tetto con una laurea di sociologia in tasca, fondatore dei Clochard alla riscossa, il primo sindacato dei senza fissa dimora. Un incontro avvenuto nell’inverno milanese di sette anni fa, in un dormitorio messo a disposizione del Comune durante l’emergenza freddo. Wainer già allora si definiva «il sindaco dei barboni». Peppo, dopo aver finito di scontare la sua pena – sedici anni di carcere per associazione a delinquere, traffico di stupefacenti e rapina a mano armata – era rimasto senza un posto dove dormire. «Crescere nel quartiere del Capo non è facile – racconta Peppo – ci ho messo poco ad incontrare gli amici sbagliati, che ho seguito a Milano quando avevo appena 26 anni. Negli anni ’80 facevo la bella vita. Non mi mancava niente: soldi, case e macchine. Mi hanno arrestato nel 1986 e sequestrato tutto i beni. Sono passato dal carcere di San Vittore di Milano a Spoleto, ma il periodo più duro è stato all’Asinara». Una pena che si è protratta anche per un tentativo di evasione.

Peppo sconta gli ultimi otto mesi in semilibertà a Vigevano, in provincia di Pavia. Ha l’obbligo di firma ma anche la possibilità di ripartire, grazie al nuovo lavoro in una cooperativa che distribuisce il pane nei supermercati della zona. Sembra fatta, la stabilità ad un soffio. Ma la crisi economica costringe l’impresa a ridurre i dipendenti e il primo ad essere mandato via è sempre l’ultimo arrivato. Peppo si ritrova senza stipendio per pagare l’affitto, mentre le sue due famiglie, quella d’origine e quella che si è costruito, sono ormai troppo distanti. Dodici fratelli sparsi tra Palermo, Milano e Torino. La moglie, pure lei palermitana, trasferitasi insieme ai due figli nel capoluogo piemontese. Nessuno di loro sa veramente che fine ha fatto Peppo. «Sono abituato a non chiedere niente a nessuno. A mia moglie ho detto un sacco di bugie, non volevo che sapesse come vivevo. Non siamo separati ufficialmente, lo sappiamo solo io e lei».

Alla fine la scelta non può che ricadere ancora su Milano, «quella che ormai era diventata la mia città». Ma Peppo ha troppa vita alle spalle per rassegnarsi al marciapiede e a quell’assistenzialismo così ben organizzato che ha portato negli anni, all’ombra della Madonnina, il maggior numero di senza tetto d’Italia. «L’inverno del 2004 fu molto rigido – racconta Wainer, dei Clochard alla Riscossa – ma il Comune stabilì che il piano di emergenza freddo sarebbe finito ugualmente ad aprile e decise la conseguente chiusura del dormitorio di Maggianico dove avevamo passato i mesi precedenti. Non potevamo accettarlo: lo abbiamo occupato, iniziando una forma di autogestione. Fu in quell’occasione che conobbi Peppo. Già allora si era messo a comandare in cucina. Sfornava anche duecento pasti al giorno».

Le strade di Antonio Alessi e dei Clochard alla Riscossa si incrociano e si dividono. Wainer continua la sua campagna di occupazioni insieme agli amici senza tetto del sindacato. Peppo lo segue in un primo momento. Poi, per circa due anni, lo chef e il sociologo si perdono di vista. «L’ho rivisto qualche settimana prima di partire per Serravalle, c’era ancora un posto libero e ricordandomi del suo talento ai fornelli gli ho chiesto se volesse aggiungersi a noi». Scommessa accettata. Dal 17 giugno Peppo fa parte della squadra di dodici clochard che gestisce il casale, circondato da un terreno di 67mila metri quadrati, messo a disposizione dai proprietari Angelo Garda, 71 anni, e Silvana Bulgari, 62.

Troppo grande quella struttura di 500 metri quadrati soltanto per una coppia, che ha pensato quindi di condividerne una parte con chi una casa non ce l’ha. I senza tetto, oltre a vitto e alloggio, riceveranno uno stipendio mensile di 650 euro, grazie al finanziamento di un’importante famiglia milanese rimasta anonima. «Non uno stanziamento a fondo perduto – precisa Wainer – restituiremo tutto in cinque anni, contiamo di andare in attivo in poco tempo». Allo scadere del contratto annuale, i dodici clochard continueranno il percorso di reinserimento sociale, mentre nella gestione dell’agriturismo subentreranno altri senza tetto. «Un anno vola – ammette Peppo – Non mi aspetto di cambiare la mia vita, ma intanto sono sicuro di passare il prossimo inverno al caldo e non più da solo».

[Foto di Clochard alla Riscossa]

Salvo Catalano

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