C’è un indagato per la morte di Peppe Cunsolo, il tredicenne di Librino, giovane rugbista della squadra dei Briganti, morto il 14 febbraio dello scorso anno dopo essere stato trovato in gravissime condizioni in viale Castagnola. Peppe sarebbe morto travolto dalla macchina a cui si era agganciato per trainare un motorino rimasto senza benzina. Ma quello scooter non era suo. Lo avrebbero contattato tre persone, che lui probabilmente conosceva, per farsi aiutare a spostare il mezzo. Qualcosa non è andata come previsto e Peppe è caduto, finendo sotto l’auto. L’uomo che guidava adesso è indagato per omicidio colposo. Il pubblico ministero ha già notificato la fine delle indagini. Da quel momento devono passare venti giorni per il rinvio a giudizio. Che sarà solo uno, anche se nella macchina erano in tre.
Non verrà contestato invece il reato di omissione di soccorso. Prima di scappare, i tre hanno chiamato un’ambulanza che la sera del 28 gennaio ha trasportato Peppe all’ospedale Garibaldi, dove due settimane dopo ha smesso di vivere. «Anche l’autopsia eseguita dal medico legale Alfio Ragazzi, sembrerebbe compatibile con la dinamica del trainamento del motorino», conferma l’avvocato della famiglia Cunsolo Dario Polizza. La ricostruzione non convince del tutto Piero Mancuso, uno dei fondatori della squadra dei Briganti, che proprio stamattina hanno inaugurato la Club House Peppe Cunsolo, nell’impianto San Teodoro di Librino. «Bisogna capire se questo motorino era stato rubato. E inoltre, se queste persone lo conoscevano, com’è possibile che lo hanno lasciato lì a terra?», s’interroga Mancuso.
Oggi all’inaugurazione del locale che diventerà centro di aggregazione per i ragazzi di Librino, c’era anche la mamma di Peppe e i suoi ex compagni di squadra nei Briganti. «Mio figlio amava il rugby – ricorda la mamma Sebastiana Baialardo – Faceva tutto da solo, aveva 13 anni, ma è come se ne avesse avuti 40. Quando tornò dalla trasferta a Treviso con la squadra era contento, ma anche dispiaciuto perché avevano perso qualche partita». Anche Simone e Danilo ricordano quell’esperienza in Veneto. «Peppe era uno che ci faceva divertire, prendeva in giro tutti. Era magro ma in campo era velocissimo, non lo prendeva nessuno», raccontano. Quella che da oggi sarà la Club House dei Briganti, con una stanza per la videoproiezione, un laboratorio, una cucina, una zona per lo svago con divanetti e tavolo di ping pong, fino a qualche mese fa era un ammasso di macerie. Nelle pareti, formate semplicemente da blocchi di cemento, si aprivano voragini. Alcuni di quei grossi buchi sono rimasti, messi in vetrina, come pezzi d’arte. «Vogliamo conservare la memoria, vogliamo che si veda com’era questo posto», spiega Piero Mancuso prima del taglio del nastro.
La decisione di liberare il campo San Teodoro è stata presa poco dopo la morte di Peppe. «In quel periodo eravamo un po’ nomadi, ci allenavamo in giro, ma stavamo perdendo i ragazzi di Librino e non era quello che volevamo – sottolinea Piero – Questo era un luogo bombardato, vandalizzato dai vandali e da chi lo avrebbe dovuto gestire. Noi, pezzo per pezzo, lo stiamo restituendo ai ragazzi». E a giudicare dai sorrisi e dalla semplice felicità che si respirava oggi al San Teodoro, ci stanno davvero riuscendo.
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