Peppe Cunsolo avrebbe compiuto oggi 16 anni. Il piccolo Brigante di Librino non c’è più dal giorno di San Valentino del 2012. Se n’è andato dopo aver lottato per due settimane tra la vita e la morte. Lo avevano ritrovato nell’aiuola che separa le due carreggiate del viale Castagnola, trafficata arteria del popoloso quartiere a Sud di Catania, all’altezza del civico 3. Il suo corpo abbandonato come un pacco: politrauma cranico-facciale e toracico fu scritto nel referto del 118 e poi in quello dell’ospedale Garibaldi, dove fu ricoverato. Intorno al luogo del ritrovamento nessuna traccia di sangue, nessun segno di incidente, nemmeno un pezzo di vetro o uno di plastica. Qualcuno lo aveva lasciato lì e se n’era andato. Le indagini sulla sua morte, ancora nella fase preliminare, furono inizialmente affidate al sostituto procuratore Salvatore Faro, poi trasferito a Reggio Calabria. Il fascicolo è stato consegnato appena qualche settimana fa al collega Renato Papa. «Ho dato particolare attenzione a questo caso, riassegnandolo senza aspettare l’arrivo dei nuovi sostituti a Catania», sottolinea il procuratore capo Giovanni Salvi.
Toccherà a Papa provare a ricostruire quanto successo il pomeriggio del 28 gennaio, giorno del ritrovamento del corpo dell’allora tredicenne Peppe Cunsolo. Il magistrato ripartirà dalla ricostruzione a cui era pervenuto Faro prima di essere trasferito: quella dell’incidente. Peppe sarebbe caduto mentre era in sella ad un motorino, trainato da un’auto con a bordo tre uomini. L’autista del veicolo è l’unico iscritto nel registro degli indagati. Versione che tuttavia non chiarisce molti lati oscuri della vicenda, a cominciare dal luogo dove sarebbe accaduto l’incidente e dal fatto che il ragazzino non mostrava ferite dal bacino in giù. Circostanza, quest’ultima, espressamente sottolineata dalla relazione della polizia municipale, a cui erano state affidate le prime indagini e che arrivò ad escludere la pista dell’incidente.
Peppe era uno scugnizzo: passava la maggior parte del tempo per le vie di Librino. Che la sua strada incrociasse quella dei Briganti rugby era quasi inevitabile. Uno scontro, più che un incontro all’inizio. «Veniva a tirarci le pietre, poi a poco a poco si convinse a giocare con noi», racconta Pietro Mancuso, coordinatore delle squadre giovanili e allenatore di Peppe. Lo chiamavano u suggi per la sua corporatura esile. Agile e veloce anche in campo, con la palla ovale sotto il braccio. «Ma la sua qualità migliore rimaneva la rabbia», aggiunge Mancuso. La rabbia di chi vede il padre e il fratello in carcere, di chi a otto anni smette di andare a scuola e a 12 si ritrova in una comunità per minori a Solarino, provincia di Siracusa, dopo essere stato coinvolto in una rapina ad una farmacia del suo stesso quartiere. Cresciuto in fretta, come tutti i ragazzini di Librino. «Aveva dodici anni, ma ne dimostrava 40», ci aveva detto la giovane mamma all’inaugurazione di una stanza del Campo San Teodoro che i Briganti hanno voluto dedicargli: la Club House Peppe Cunsolo, un luogo dove fermarsi dopo gli allenamenti, socializzare, giocare e discutere.
La liberazione-occupazione del San Teodoro, il 25 aprile del 2012, nasce anche da quella morte. «Da un po’ di tempo andavamo in giro per i campi della città, visto che a Librino non riuscivamo ad avere un luogo dove allenarci – ricorda Mancuso – Così facendo, però, stavamo perdendo tanti bambini del quartiere che non potevano spostarsi. Peppe era uno di quelli. In sostanza stavamo perdendo di vista il motivo per cui eravamo nati». Oggi tra i piccoli Briganti sono tornati anche gli scugnizzi. «Due ragazzini in particolare mi ricordano Peppe», sottolinea sorridendo l’allenatore. A mancare, due anni dopo la sua morte, sono ancora giustizia e verità.
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