Peppe Cunsolo, attesi gli esiti dell’autopsia «L’incidente non è l’unica ipotesi»

Un fascicolo aperto, una misteriosa targa automobilistica e una sola certezza: il piccolo Peppe Cunsolo è stato «trovato nel mezzo della carreggiata senza la presenza di alcuno e veicoli attorno». Questo quello che scrive il 118 nella scheda d’intervento consegnata al pronto soccorso dell’ospedale Garibaldi, nel quale il tredicenne ex rugbista dei Briganti di Librino – morto dopo due settimane di coma – è arrivato alle 16.16 del 28 gennaio, in condizioni gravissime. «Nessuna traccia di veicoli, nessun segno di frenate, nessuna traccia di sangue», confermano dalla sezione infortunistica della polizia municipale, giunta sul luogo circa due ore dopo l’incidente, intorno alle 18. Unico ritrovamento, nei pressi del luogo presunto dell’impatto, una targa di automobile, «ma non basta certo questo elemento per condannare, poteva essere lì per un altro motivo: il luogo dell’eventuale impatto non è stato possibile ricostruirlo per mancanza di una qualunque traccia sull’asfalto». A due giorni dal suo funerale, l’unica speranza di trovare la verità sulla morte di Peppe sembra legata all’esito dell’autopsia eseguita lunedì, disposta dal sostituto procuratore Salvatore Faro «perché non è sicuro che si sia trattato di un incidente». Gli esiti si attendono «tra una ventina di giorni», dice il procuratore capo Giovanni Salvi. L’esame esterno è già stato effettuato, ma senza che siano emersi elementi utili. «E’ passato troppo tempo dal fatto», spiega il gerente della procura etnea. Che aggiunge: «Purtroppo fin dal primo momento si è pensato ad un incidente e quindi non sono state fatte ulteriori analisi e indagini».

Eppure non tutti gli elementi tornano in una vicenda che può essere ricostruita in un solo modo: le testimonianze dirette. Una strada tentata dalla polizia municipale, che in questa vicenda svolge le funzioni di polizia giudiziaria, ottenendo riscontri negativi. «Nessuno è venuto a dirci come sono andati i fatti, a raccontarci qualcosa in più – spiega l’ispettore Lucia Mangion – Quando dalla procura ci verranno date disposizioni, acquisiremo i filmati delle videocamere dei dintorni, e si tenterà di risalire a chi ha effettuato la chiamata al 118». Di sicuro, quindi, resta solo il corpo di Peppe steso alla luce del pomeriggio nel viale Castagnola, la strada più trafficata di Librino.

Lungo il viale, tra decine di macchine in doppia fila e famiglie cariche di sacchetti della spesa, nessuno sembra aver visto, nessuno sa cosa sia successo realmente. Anche se di ricostruzioni se ne sentono diverse e contrastanti. «Io sono arrivato alle 16.10, c’era molta gente e l’ambulanza era già andata via» riferisce uno degli impiegati della vicina tabaccheria, mentre alcuni ragazzi, coetanei di Peppe, davanti alla chiesa di Santa Chiara  – un capannone in viale Moncada dove martedì si sono celebrati i funerali partecipati da centinaia di persone – sostengono un’altra tesi: «Per gioco altri ragazzi lo spingevano col motorino e lui è caduto». Peppe abitava nel palazzo accanto, ma i suoi coetanei e vicini di casa non sono i soli a parlare di un ciclomotore, anche se la tesi sembra incompatibile con la ricostruzione degli inquirenti: del mezzo non c’è traccia. «Era trainato da una macchina, lui era su un motorino», dice sicuro il proprietario di una bancarella di frutta, quasi di fronte al luogo dell’incidente aggiungendo che «c’è stato un rumore fortissimo», salvo poi ritrattare pochi minuti dopo «certo non si sa com’è successo, se è caduto dal motorino da solo o se era a piedi». «Nessun rumore, mi sono accorto della cosa solo quando ho visto l’ambulanza e sono corso con una bottiglia d’acqua per dare soccorso» riferisce invece il garzone del chiosco, la cui visuale è ostruita da un’inferriata, ma che mentre parliamo sente benissimo un clacson suonare nella carreggiata opposta, a più di cento metri.

Che il piccolo fosse grave era già stato segnalato dai medici del 118, tanto che all’arrivo al pronto soccorso i medici della rianimazione erano pronti. La diagnosi? «Politrauma, è questo quello che si scrive quando un caso è molto grave. I dettagli, dalle eventuali contusioni alle fratture, sono nella cartella clinica dettagliata che viene fatta dopo, in reparto», ci dicono al posto di polizia del nosocomio cittadino, giusto sotto al reparto di rianimazione diretto dal professore Sergio Pintaudi, che ha curato con la sua equipe anche l’espianto degli organi del piccolo Peppe, rimasto in coma per tutta la durata del ricovero, dal 28 gennaio fino alla mattina del 14 febbraio, giorno della morte. Quel che i medici hanno scritto sulla cartella clinica e l’esito dell’autopsia potrebbero essere gli unici elementi per trovare la verità su un presunto incidente avvolto nel mistero.

Leandro Perrotta

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