Don Carlo Chiarenza, il prete di Acireale accusato da Teo Pulvirenti di abusi sessuali, è stato condannato in via definitiva. Sul caso dell’ex rettore della basilica di San Sebastiano si è pronunciata la Congregazione per la dottrina della fede che ha rigettato il ricorso presentato dopo la condanna in primo grado. Era l’estate del 2013, quando il Vaticano aveva stabilito che Chiarenza si era reso responsabile di violenza sull’allora adolescente Pulvirenti.
Un’accusa che il prete aveva sempre rigettato, affermando la propria innocenza e alludendo al fatto che fosse stata la vittima a ricercare affetto in lui. A tale versione, tuttavia, erano stati in pochi a credere. All’indomani della denuncia di Pulvirenti, comprensiva di un audio in cui Chiarenza ammetteva indirettamente gli avvicinamenti risalenti a fine anni Ottanta, il presunto caso di pedofilia aveva attirato l’attenzione dell’associazione La caramella buona, che da allora segue la vicenda e che ha diffuso una nota ufficiale che riprenderebbe, di fatto, una comunicazione che il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, ha inviato allo stesso Pulvirenti.
«A Chiarenza – si legge nel comunicato – vengono comminate le seguenti pene canoniche: obbligo di dimorare fuori dalla Metropolia di Catania per tre anni, divieto per tre anni di celebrare messa, divieto perpetuo di confessare e avere contatti ministeriali che possano comportare contatto con i minori». Il prete, inoltre, dovrà risarcire Pulvirenti con la somma di 50mila euro, da pagare in 24 mesi, e coprire le spese processuali (quattromila euro) al Tribunale ecclesiastico. Qualora il sacerdote si rifiutasse di rispettare tali prescrizioni le conseguenze potrebbero portare anche alla «dimissione dallo stato clericale».
Questo il commento a caldo di Pulvirenti: «Non riesco a crederci. Avverto un incredibile senso di liberazione, finalmente, insieme agli amici della Caramella buona, abbiamo ottenuto non solo giustizia popolare ma anche quella della Chiesa».
Don Chiarenza a fine 2015 era finito anche in televisione. Intervistato dalla trasmissione di Rete4 La strada dei miracoli, il prelato aveva dichiarato di essere lui la vera vittima, sottolineando una volta di più come l’intera ricostruzione degli abusi fosse scaturita da un’errata lettura degli eventi da parte di Pulvirenti. Interpretazione che non aveva convinto nemmeno la magistratura, che negli ultimi anni ha indagato sul caso: infatti, nonostante l’inchiesta si fosse conclusa con la richiesta di prescrizione dettata dalla scadenza dei termini utili per andare a processo, i magistrati avevano sottolineato come le accuse a carico di Chiarenza fossero state «circostanziate e verosimili». Dalle indagini, inoltre, era emerso che i casi in cui il prete si sarebbe macchiato di violenza sessuale erano più di uno. Tra i quali, il presunto stupro di una bambina in canonica.
«Nessuno dorma sonni tranquilli. Gli abusi sui minori sono reati, crimini, gravissimi peccati. Tolleranza zero». Con queste parole don Fortunato Di Noto commenta la condanna di don Chiarenza. Il sacerdote siracusano che da anni si batte contro la pedofilia ammette di essere infastidito quando gli si chiede che cosa si provi a sapere che il colpevole sia un altro prelato. «Combatto la pedofilia e gli abusi da 25 anni, mi dà fastidio che si dica che è un prete come me. Un prete non compie questi atti sui piccoli, sui prediletti del Signore». Sulla prescrizione. «Hanno applicato la legge italiana che prevede la prescrizione, anche se non sembra accettabile».
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