Pdl Palermo, sconfitta non disastro

Anche nel Pdl di Palermo, alla fine, i nodi sono venuti al pettine. Per questo partito la batosta è stata forte. Ma non fortissima. L’analisi del voto, in questo caso, deve tenere conto degli errori commessi a Roma e a Palermo.

Incomprensioni, liti, faide, divisioni, spaccature che, alla fine, hanno frantumato il Pdl originario in tre tronconi: il Pdl, per l’appunto, fermo all’8,33 per cento; Grande Sud di Gianfranco Miccichè al 6,2 per cento e Futuro e libertà al 4,75 per cento. Il riferimento, ovviamente, è ai voti presi dalle liste alle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale. Al Pdl, in realtà, va sommato anche il 3,27 per cento raggiunto dalla lista di Massimo Costa. Con tale somma il Pdl cittadino arriva, grosso modo, all’11 per cento.

Siamo partiti da questi dati perché, alla fine, non sono altro che la ‘radiografia’ degli errori commessi negli ultimi anni dai dirigenti di questo partito, a livello nazionale e locale. Ieri, commentando il gramo risultato raggiunto da Futuro e libertà, abbiamo sottolineato la contraddizione di un partito che, a Roma, con Fini, dice di voler puntare sulla creazione di una nuova e moderna destra italiana (o di un Terzo polo con il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini: ipotesi, questa, che sembra un po’ in ribasso, se non accantonata). Mentre in Sicilia Fli fa parte di un governo regionale di centrosinistra. Tirando le somme, l’elettorato palermitano non poteva non penalizzare un partito – Fli – che a Palermo e in tutta la Sicilia ha come unici riferimenti le poltrone del governo Lombardo e il clientelismo.

Tuttavia, non va dimenticato che il leader di questo piccolo schieramento politico, Gianfranco Fini, è stato costretto, da Berlusconi, a lasciare il Pdl. I seguaci di Fini, in Sicilia, si sono adeguati, ma ci hanno messo del loro, ‘acquartierandosi’ nel governo regionale di Raffaele Lombardo tra prebende & clientele. Ma queste, ormai, non portano più voti. Per un motivo semplice: perché le ‘casse’ pubbliche – alla Regione come nei Comuni (soprattutto al Comune di Palermo dove il’buco’ di bilancio supera i 500 milioni di euro) – sono state ‘svuotate’.

Tornando al ragionamento sul Pdl, e guardando i numeri di queste elezioni comunali, un dato salta agli occhi: mentre nelle elezioni per il sindaco il tonfo di Massimo Costa (appoggiato da Pdl, Udc e Grande Sud) è stato clamoroso, i risultati delle elezioni del consiglio comunale danno numeri completamente diversi.

Tutt’e tre i partiti che sostenevano Costa sindaco superano lo sbarramento del 5 per cento entrando con propri rappresentanti in Consiglio comunale. E se questo è un risultato scontato per il Pdl, non altrettanto scontato lo è per Udc e Grande Sud, i cui dirigenti possono dichiararsi soddisfatti per il risultato raggiunto. Che significa questo? Due cose. Primo: che la candidatura di Massimo Costa a sindaco di Palermo è stata sbagliata. Secondo: che la legge elettorale regionale del 2011 ha agevolato un candidato ‘trasversale’ come Leoluca Orlando.

Anche se non lo ammetteranno mai – perché nessun politico ama passare per ingenuo – i veri ‘protagonisti’ della grande vittoria di Orlando a Palermo sono tre: Orlando stesso, ovviamente, che ha raggiunto il 48 per cento dei consensi al primo turno; il presidente della Regione, Lombardo, e il capogruppo del Pd, Antonello Cracolici. Sono stati proprio Lombardo e Cracolici, l’anno scorso, a mettere a ferro e fuoco Sala d’Ercole per approvare una legge elettorale che, a Palermo, nelle loro teste, avrebbe dovuto ‘premiarli’ e che, invece li ha ‘incaprettati’. Geniali!

Tornando al Pdl, va ribadito che questo partito ha pagato le divisioni romane e siciliane. Su quelle capitoline abbiamo già detto: il ‘caso’ Fini, voluto più dall’arroganza del Cavaliere che dal presidente della Camera dei deputati. Ma ci sono anche gli errori commessi in Sicilia. E qui il casinista per definizione è Gianfranco Miccichè.

Se Lombardo oggi è presidente della Regione siciliana il merito è anche di Miccichè che, nel 2008, dopo le dimissioni di Totò Cuffaro, insistendo sulla propria candidatura alla presidenza della Regione – candidatura allora osteggiata da Cuffaro e dalla maggioranza del Pdl siciliano dell’epoca – ha, di fatto, determinato la designazione e l’elezione di Lombardo alla guida della Sicilia.

Il secondo errore di Miccichè è stato quello di non aver capito che, già nella campagna elettorale del 2008, Lombardo aveva, sottobanco, un accordo con il Pd di Cracolici e Giuseppe Lumia. O meglio, Miccichè ne era in parte al corrente, ma avendo ‘chiuso’ lui stesso un accordo di potere con Lumia a Termini Imerese – accordo al quale non era estraneo l’ingegnre Nino Bevilacqua, non a caso diventato ‘nume tutelare’ dei porti di Palermo e di Termini Imerese – pensava di controllare la situazione.

Il resto è noto: Miccichè ha spaccato il Pdl per fare un dispetto a quella parte del suo partito che gli aveva sbarrato la strada verso la presidenza della Regione. Si è accordato con Lombardo, entrando nel governo regionale sempre in barba al suo ex partito, giocando con una serie di sigle: Pdl Sicilia, Forza del Sud e, in ultimo, Grande Sud. Ha ‘pilotato’ tutte queste operazioni illudendosi di controllare Lombardo, Cracolici e Lumia. Che, alla fine del ‘giro’, hanno ‘scaricato’ lui.

Tecnicamente, Gianfranco Miccichè è stato un ‘pollo’. Recidivo, per giunta. Perché fu lo stesso Miccichè, nel 1999, a farsi ‘soffiare’ la presidenza della Regione da Udeur e Pds. Lo stesso Miccichè, la domenica precedente le elezioni comunali di Palermo, al Politeama, durante la manifestazione in favore di Massimo Costa, ammetterà: “Abbiamo sbagliato a dividerci”. E qualche giorno fa – come riportato dal nostro giornale – sarà l’unico dirigente del centrodestra cittadino ad ammettere di aver preso una ‘legnata’ storica.

Non altrettanto si può dire, ad esempio, di Francesco Scoma, coordinatore del Pdl a Palermo e provincia. Accusare, come ha fatto Scoma, il presidente dell’Ars, Francesco Cascio, di aver fatto perdere tempo al partito e di non essersi candidato a sindaco è, quanto meno, ingeneroso.

La verità è che nessuno dei big del Pdl di Palermo ha voluto porre la propria candidatura a sindaco perché sapevano di perdere. Sia perché i dieci anni di Diego Cammarata – anzi, del centrodestra cittadino – sono stati disastrosi. Sia perché la legge elettorale avrebbe avvantaggiato Orlando. Di fatto, tutti nel Pdl hanno voluto la candidatura di Massimo Costa, che – anche per la sua giovane età e per la sua inesperienza – è stato forse l’unico a non capire, fino alll’ultimo, che lo stavano mandando allo sbaraglio (se ne sono invece accorti con dieci giorni di anticipo Pierferdinando Casini e Giampiero D’Alia: ma, a quel punto, non hanno potuto fare nulla se non attendere il disastro).

Semmai, se c’è qualcuno che avrebbe qualcosa da recriminare su Palermo, ebbene, quello dovrebbe essere Angelino Alfano. Ha accettato di prendersi la responsabilità politica di Palermo, ben sapendo che Berlusconi lo avrebbe lasciato solo. Perché questa volta, il Cavaliere, non solo si è disinteressato di Palermo, ma non è stato nemmeno ‘prodigo’…

Alfano ha accettato la sfida. E’ stato coraggioso. Ma non si è accorto che gli stavano rifilando una ‘polpetta avvelenata’ che rimarrà storica. Solo negli ultimi giorni, infatti, Alfano si è accorto che i primi a non votare per Massimo Costa sarebbero stati i suoi del Pdl. Ma, a quel punto, anche lui, non ha potuto fare nulla.

Concludendo, si può dire che, nonostante i dieci anni tutt’altro che esaltanti di Cammarata, il centrodestra di Palermo è ancora in piedi. Il premio di maggioranza che, con molta probabilità, consentirà ad Orlando di governare Palermo senza problemi, non deve far perdere di vista i numeri reali.

Il Pdl e Grande Sud di Miccichè sono al 17 per cento. Difficile collocare Fli, che comunque ha raggranellato il 4,31 per cento. E poi c’è tutto l’arcipelago centrista che, in minima parte, è con l’Mpa di Lombardo (ma fino a quando?) e, in massima parte, è nel centrodestra. Certo, il centrodestra di Palermo non è più quello del 2001, quando la presenza di Forza Italia, An e gli ex democristiani di Totò Cuffaro si prendevano tutto. E non è nemmeno quello del 2007. Le divisioni e le ‘emorragie’ ci sono state. E si vedono. Ma sarebbe un errore considerare questo schieramento perdente.

La partita politica su Palermo, per i prossimi cinque anni, a meno di molto improbabili colpi di scena (c’è di mezzo un ballottaggio che Orlando dovrebbe vincere senza problemi), è chiusa. La partita regionale, invece, è aperta. Con un centrodestra ‘ammacccato’, ma in fase di ricomposizione. E con un arcipelago di ex democristiani vitale e vivace, come abbiamo raccontato qualche giorno fa. Ex democristiani che, in maggioranza, non sembrano molto entusiasti di Lombardo e del Pd. Anzi.

Insomma, se a Palermo la partita è chiusa sulla Regione è ancora tutta da studiare. E da giocare.

Foto di Gianfranco Miccichè tratta da ilfoglio.it

 

 

Diogene Laerzio II

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