Un altro pezzo di sinistra che se ne va. Fa rumore, e non potrebbe essere altrimenti, l’abbandono del partito da parte della segretaria del circolo Pd centro storico di Catania. Uno strappo che si concretizza a meno di cinquanta giorni dalle elezioni regionali siciliane, mentre il dibattito interno ai dem è già con i nervi a fiori di pelle. L’addio di Adele Palazzo arriva sullo sfondo di una discussione sulla composizione della lista provinciale per l’Ars del partito di Renzi che, forse ancor più clamorosamente delle altre volte, ha messo in luce tutte le spaccature che tormentano il gruppo dirigente catanese e che vanno oltre la semplice dialettica tra correnti. La presenza, fra i sicuri concorrenti per un posto a Palermo, di campioni di preferenze come Luca Sammartino ed Anthony Barbagallo – entrambi con background post-democristiano ed un’affermazione nel Pd che è andata di pari passo con la linea delle aperture al centro voluta dal Nazareno – ha generato uno stallo sulla stesura dell’elenco di tredici candidati che, da qualche giorno, sembra essersi sbloccato soltanto grazie ad un «diktat» romano. Tutti i notabili, a partire dai parlamentari regionali e nazionali, dovranno dare il loro contributo allo schieramento elettorale dem. Se non in prima persona, quantomeno lavorando su uomini e donne che siano espressione di tutte le componenti del partito.
«La verità è che non potevano fare diversamente, altrimenti non riuscirebbero nemmeno a completare la lista», dice la neofuoriuscita dal Pd, finora esponente dell’ala laburista. Il suo malessere non è improvviso: «Covava sicuramente già da un po’, e non è il primo degli abbandoni che si verificano nel mio ormai ex circolo – spiega Palazzo – l’impostazione del partito non mi rappresenta più, a partire dalle scelte di Renzi e finendo con la linea politica locale». Le difficoltà, d’altronde, sono in molti a toccarle con mano nella base dem. «È da sordi non sentire il disagio della popolazione», scrive l’ex segretaria nella sua nota di commiato, ma dietro la formula si legge anche quello che vari militanti ammettono candidamente a microfoni spenti: «Andare a chiedere il voto alla gente è quasi impossibile». Davanti al peso di lunghi anni di governo regionale che adesso fanno sentire tutta la loro impopolarità. Davanti anche ad un candidato presidente, il rettore Fabrizio Micari, che, semplicemente, «non tira». Davanti alla concorrenza che si è arricchita anche con la sfida di Claudio Fava, qualcosa in più di una lusinga per l’elettorato ancora gauchiste.
Non è bastato neppure il percorso al fianco dei DemoSì di Concetta Raia ed Angelo Villari per dissuadere la segretaria dai propositi di rottura. Soltanto poche ore prima lo stesso Villari aveva messo a tacere le voci sulla sua candidatura all’Ars fuori dalla lista dove i giochi sembrano già fatti. Se scattassero infatti solo due seggi, come al momento appare verosimile, sembra difficile che l’ariete del fronte sindacale dem possa insidiare Sammartino e Barbagallo. «Lui ha fatto una scelta di coerenza che spero lo ripagherà – commenta Palazzo – ciò non toglie che il percorso sulle candidature resta poco partecipato, diretta conseguenze delle scelte sbagliate degli ultimi anni». A cosa si riferisce la ribelle Palazzo? «Si è pensato che un partito potesse reggersi solo sulla sommatoria di varie segreterie politiche, ma io non la penso così». La questione allora, per l’ex segretario cittadino, sta tutta nel ruolo della nouvelle vague dei cooptati del renzismo: «Il Pd di Sammartino non è e non può essere più il mio partito, che se lo tengano pure loro», chiude Palazzo senza altri giri di parole.
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