Che gli articoli sulla parentopoli nelle selezioni per il corso di abilitazione alla professione di guida vulcanologica avessero dato fastidio era cosa nota. Così come era noto che il lavoro del nostro giornalista Francesco Vasta sulla gestione monopolistica del business delle escursioni sull’Etna non piacesse al patron della Funivia dell’Etna Francesco Russo Morosoli, tanto da spingerlo a parlarne a più riprese mentre le sue conversazioni erano intercettate nell’ambito dell’inchiesta Aetna della procura di Catania. Quello che finora non era noto, però, è che l’obiettivo di molti era che Vasta si desse una calmata. Magari dopo essere stato raggiunto sotto casa da qualcuno, affinché capisse il messaggio. Nei faldoni che contengono i dettagli dell’indagine, spuntano alcune conversazioni datate 14 maggio 2018. Sono passati appena quattro giorni dal primo articolo del nostro giornalista su quello che poi si rivelerà essere uno scandalo di proporzioni enormi. Proprio stamane il Tar di Catania si pronuncerà sul ricorso che chiede l’annullamento del concorso alla luce delle presunte irregolarità documentate da noi e in seguito dai magistrati.
In esclusiva su questa testata, il 10 maggio, Vasta aveva raccontato delle prove da sostenere per essere ammessi al corso per diventare guide dell’Etna. In montagna si era svolto un test di resistenza fisica. A gestirlo era stato il Collegio siciliano delle guide, all’epoca presieduto da Biagio Ragonese. Nell’articolo si raccontava di un esposto presentato da alcuni dei candidati sconfitti che faceva il paio con la presenza, tra i vincitori del test, dei figli dei componenti del Collegio. Più di una suggestione, secondo la procura di Catania, che il 30 novembre 2018 mette nero su bianco l’accusa di abuso d’ufficio nei confronti di Ragonese, Orazio Distefano (vicepresidente del collegio) e Antonio Rizzo (componente). I tre, per i magistrati, avrebbero fatto tutt’uno con un unico scopo: permettere ai propri figli di passare le prove. Cosa poi effettivamente riuscita.
«Quello che dobbiamo fare – diceva Ragonese intercettato – lo dobbiamo fare in maniera molto tranquilla e riservata». Perché poi la gente, lo interrompe Rizzo, «ni iettunu manu». Ai passaggi clou delle intercettazioni evidenziati dalla giudice per le indagini preliminari Giuliana Sammartino, se ne affiancano molti altri trascritti in centinaia di pagine. Le conversazioni tra i diretti interessati si arricchiscono, quindi, di altri colloqui. Che portano una data di poco successiva a quella del primo dei numerosi articoli dedicati da MeridioNews alla vicenda. Negli uffici di Russo Morosoli a Catania parlano lo stesso imprenditore, il suo braccio destro Salvo Di Franco e il dirigente di Funivia dell’Etna Simone Lo Grasso.
L’argomento di conversazione, come spesso accade, sono le escursioni e, in particolare, il project financing varato dai Comuni di Linguaglossa e Castiglione di Sicilia, per affidare la strada dei crateri gestita fino al 2016 da Russo Morosoli. Il trio si avvale, secondo la procura, della guida Biagio Ragonese in veste di informatore sul territorio riguardo alle mosse dei rivali, l’associazione temporanea di imprese Etna Alcantara mobility. A costituirla vari soci fra cui la famiglia Vaccaro, imprenditori delle Gole dell’Alcantara, e Maria Bombara, moglie dell’ex sindaco di Castiglione Cettino Bellia. Quest’ultimo, come emerge dalle carte, viene ritenuto da Russo Morosoli quasi un regista occulto del progetto di Etna mobility.
Mentre i tre parlano di questo, di jeep e licenze, si arriva al punto: le guide e l’articolo sulla parentopoli. È Di Franco a comunicare agli altri due che ci sarebbe in ballo una querela nei confronti del cronista, aggiungendo un dettaglio che, a suo dire, gli rende la questione ancora più piacevole: il fatto che qualcuna delle guide vulcanologiche si sarebbe presentata sotto casa del giornalista, aspettando il suo rientro. Che però non è avvenuto. La chiacchierata va avanti tra le risate, le ammissioni di veridicità del racconto fatto su MeridioNews, e la tesi secondo la quale Vasta fosse stato allertato e che, di conseguenza, non avrebbe fatto ritorno nella sua abitazione per evitare gli spiacevoli incontri. Avviso che, per dovere di cronaca, al nostro giornalista non è mai arrivato. A chiudere l’argomento è Francesco Russo Morosoli: se Francesco Vasta non è tornato a casa per paura, suppone Russo Morosoli, quella sarebbe stata una buona notizia. Così, per il futuro, avrebbe rallentato la sua attività giornalistica sull’Etna e i suoi business. Ma anche rispetto a questa speranza le cose sono andate diversamente.
Aggiornamento delle 19.33
«Apprendiamo dal quotidiano online Meridionews di un tentativo di intimidazione al collega Francesco Vasta, emerso – come si legge nell’articolo – dai faldoni dell’inchiesta Aetna, condotta dalla Procura di Catania che ha portato all’arresto di Francesco Russo Morosoli, gestore della Funivia dell’Etna, e sui cui sono in corso indagini. A Vasta, e a tutti quei giornalisti che ogni giorno, con zelo e attenzione, svolgono il loro lavoro di cronisti, esprimiamo la nostra solidarietà». Lo dichiara, in una nota, la sezione catanese dell’Unione nazionale dei cronisti italiani (Unci).
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