Parco Monte Po, bruciano le discariche Nell’area sequestrata lo spaccio continua

Un grosso incendio due settimane fa, il fumo nero, l’odore di gomma. Il parco Monte Po che brucia. Le fiamme non hanno risparmiato il polmone verde di 28 ettari di proprietà del Comune di Catania, e neanche i rifiuti che, negli anni, sono stati illecitamente scaricati lì dentro. Trasformando quell’area in una discarica abusiva a cielo aperto, coi cancelli chiusi da lucchetti di cui nessuno conosce la proprietà. Lo spaccio di droga che, secondo quanto raccontano i residenti, continua all’interno di una delle masserie, nonostante il sequestro della procura di un paio di anni fa. E adesso il fuoco che divampa tra le sterpaglie e gli arbusti rende l’aria «irrespirabile». «È una puzza acida, sale la sera, non si riesce a sopportarla», racconta Salvatore Lo Presti, che abita in via Monte Po.

Ad accendere la miccia che ha bruciato una grossa porzione di terreno potrebbe non essere stato il caldo. «Alcuni allevatori vengono a far brucare qui il loro gregge, capita che appicchino incendi per far nascere l’erba nuova per le pecore», racconta un altro abitante del quartiere, che preferisce rimanere anonimo. Mentre i vigili del fuoco non si sbilanciano. Troppe sterpaglie e nessun innesco individuato. «Il parco Monte Po è un luogo di malaffare – continua l’uomo – E adesso, con i fumi tossici che stiamo respirando, c’è di mezzo anche la nostra incolumità». Per questa ragione, i catanesi che abitano tra via Pavarotti e via Monte Po hanno preparato una petizione che nei prossimi giorni sarà inviata al sindaco Enzo Bianco e all’assessore all’Ecologia Rosario D’Agata.

Il 2 luglio scorso, proprio D’Agata, su richiesta del consiglio di quartiere della quinta circoscrizione, è andato sul posto. «Stiamo procedendo con le segnalazioni all’Arpa e all’assessorato regionale all’Ambiente», aveva detto in quell’occasione. E adesso rincara la dose: «Il fatto è che non sappiamo che genere di rifiuti potrebbero essere stati seppelliti là dentro, perché è anche sulla base di quello che bisogna approntare un piano di bonifica. Se sono copertoni bisogna fare una cosa, se è amianto bisogna fare un’altra cosa: insomma, non è semplice», dice l’assessore. Cosa ci sia lì sotto non lo sanno nemmeno i residenti. «Abito qui da 20 anni e mio suocero ancora prima di me – racconta Lo Presti – Quando siamo venuti, il livello del terreno del parco era molto più basso, negli anni, con tutto quello che hanno buttato, si è alzato di parecchi metri».

«Quando sono andato al parco – spiega l’assessore D’Agata – ho visto dei fumi che uscivano dalla terra e l’aria era maleodorante». Intervenire, però, potrebbe non essere così facile: «Sappiamo che c’è un sequestro da parte dei magistrati di Catania, ma non sappiamo di preciso dove, il posto è molto grande». Anche sulla base di questo, si valuterà il da farsi: «Dobbiamo verificare se è necessario agire insieme alla procura o se il Comune può intervenire liberamente». Per martedì pomeriggio, intanto, è stata indetta una conferenza dei servizi a Palazzo degli elefanti: «Sono stati convocati tutti i dirigenti degli uffici che potrebbero avere competenze in quell’area: dopo la riunione sapremo meglio come comportarci».

Ma i problemi del parco non si fermano alle discariche abusive. «Da qualche giorno – racconta l’anonimo residente – da quando la stampa si è interessata per via dell’incendio non succede più, però fino ad alcune sere fa, ogni sera, vedevo gente arrivare con auto sicuramente rubate, entrare nel parco e dar loro fuoco. Durante la notte, le fiamme si esauriscono e la mattina, alle 6.30, puntuali come se dovessero timbrare il cartellino dell’ufficio, arriva altra gente, con un camion blu o un camion bianco, di quelli col gancio, a caricarsi e portarsi via le carcasse». Una prassi, secondo l’uomo, che rende evidente l’interesse della criminalità organizzata su quei terreni. «Qui scoppia una bomba, vengono le telecamere, per un po’ stiamo tranquilli e poi tutto torna come prima – afferma, rammaricato – Stanno aspettando che ci scappa il morto?».

Due anni fa, all’intera zona – che comprende anche due masserie fatiscenti – erano stati messi i sigilli nell’ambito di un’indagine della procura della Repubblica di Catania. Erano state arrestate sette persone per reato ambientale ed erano stati sequestrati 13 mezzi, tra escavatori e pale meccaniche. «Da allora non è mai stata fatta nessuna bonifica e, anzi, ai cancelli sono stati messi degli altri lucchetti, da gente che non sappiamo chi sia». In effetti, a sbarrare l’ingresso alla parte superiore del parco c’è un catenaccio nuovo. All’interno, una porta di ferro con un secondo catenaccio – anche questo nuovissimo – impedisce l’accesso alla masseria. Dalle sbarre si vedono un pavimento quasi pulito, un tappeto e una sedia bianca. Sulla parete opposta, c’è una botte di plastica con un rubinetto. Da un buco nei mattoni della stanza accanto si vede per terra del fieno e si sente un forte odore di stalla, fresco. «La sera da là i motorini fanno vai e vieni, o spacciano o si dividono i proventi dello spaccio, per capirlo basterebbe venire a guardare quello che succede quando fa buio».

«Il Comune dovrebbe prendere i catenacci che non sono suoi e tagliarli via, non si può accontentare di stare a guardare perché altri, chissà chi, l’hanno buttato fuori da casa sua», continua l’uomo. E conclude: «Siamo in città, ma siamo fuori dal mondo, siamo senza quartiere e senza Stato, l’importante, però, è che paghiamo la Tares».

Salvo Catalano

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