Parco dell’Etna, i rifugi che nessuno vuole gestire Offerte solo per la casa citata da Giovanni Verga

Vanno deserte due delle tre gare d’appalto indette dal parco dell’Etna per mettere al servizio di turisti ed escursionisti alcuni rifugi montani di recente ristrutturati. Si tratta dei punti base di Case Caldarera, Case Bevacqua e Casa della Capinera, rispettivamente nei territori di Randazzo, Piedimonte etneo e Trecastagni. Mentre per i primi due, sui versanti nord ed est della montagna, non è giunta alcuna offerta – il termine per la presentazione dei progetti era lo scorso 14 marzo – c’è invece speranza per Casa della capinera di contrada Cicirello. Il luogo è noto per figurare nel romanzo verghiano Storia di una capinera, ed è oggetto di cinque offerte

I punti base, uno degli strumenti di fruizione dell’area protetta individuati fin dalle sue norme istitutive, rappresentano una delle grandi incompiute del parco dell’Etna. Quella che avrebbe infatti dovuto essere una funzionale cintura di circa una ventina di luoghi d’accoglienza turistica e stazioni escursionistiche non è mai entrata in funzione. Molte di queste strutture sono rimaste inutilizzate o addirittura sono state vandalizzate. Anche alla luce di ciò, l’indizione delle tre gare era stata salutata positivamente da tutti gli addetti ai lavori, considerato peraltro anche il notevole impegno economico pubblico dietro la riqualificazione dei tre edifici, vecchi casolari totalmente rimessi a nuovo. I cantieri sono stati finanziati con circa un milione e 400 mila euro per quanto riguarda Case Bevacqua, e circa 500 mila euro ciascuno per Case Caldarera e Casa della capinera, fondi provenienti sia dalla Regione che dall’Europa. I lavori hanno riportato all’antico splendore le strutture, senza però riuscire a renderle appetibili per il mercato.

Soltanto l’immobile di contrada Cicirello, non molto grande, può ad esempio contare su alcune attrezzature. Ancora più complesso il quadro a Case Bevacqua, quattro edifici per un totale di circa 1000 metri quadrati divisi fra camere, spazi museali e sale ristoro, ultimati alla fine del 2015. Il rifugio, punto base numero 13 a circa mille metri di quota, è accessibile solo a piedi o in fuoristrada e il progetto di ripristino della malmessa trazzera che lo collega alla Milo-Linguaglossa stenta a decollare. Le sale, inoltre, dovranno essere interamente arredate dai futuri assegnatari, ai quali sarà richiesto un notevole sforzo economico. Non tanto dal punto di vista dell’appalto – base d’asta 36mila e 200 euro a fronte di una concessione di nove anni – bensì da quello dei costi di ordinaria gestione di una struttura tanto articolata, ma per adesso raggiungibile solo da nicchie di appassionati. Sarà anche necessario disporre di una strategia che riesca a portare il grande pubblico sul versante orientale del vulcano. 

Di circa 40mila euro, invece, era stata la base d’asta per Case Caldarera e di circa 27mila euro quella più fortunata per la gestione di Casa della Capinera, sulle cui offerte si pronuncerà la commissione giudicatrice già insediatasi. Sul piatto, anche in questi casi, una concessione di nove anni e canoni mensili anche di soli 100 euro per i primi periodi di affidamento. Richieste irrisorie, a detta degli uffici del parco. L’amministrazione dell’ente non si è persa d’animo e infatti è già stato pubblicato un secondo esperimento di gara – in pratica replicando i bandi rimasti senza offerte – per Case Bevacqua e Case Caldarera, con scadenza fissata al prossimo 2 maggio.  

Francesco Vasta

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