Dopo le fiamme, per il parco delle Madonie è il momento di fare la conta dei danni. Il desiderio, oltre la ripartenza, resta però quello di dare un volto alla mano che si nasconde dietro ai focolai che hanno messo in croce un’intera comunità sulle montagne del Palermitano. E proprio dall’Ente parco arriva un esposto alla Procura perché la lente degli investigatori non si allontani dalle ceneri di quello che, seppur ferito, resta comunque uno dei più importanti polmoni verdi della Sicilia. «Sarebbe importante individuare i possibili responsabili – spiega a MeridioNews Angelo Merlino, presidente dell’Ente – Sentivamo il dovere morale di dare un segnale, non arretriamo di fronte a nulla. Non possiamo stare con le mani in mano. Semmai un giorno si dovesse celebrare un processo ci potremo costituire parte civile ed essere risarciti in qualche maniera».
Un risarcimento che difficilmente potrebbe coprire le centinaia di alberi, gli animali, le piante andati persi, così come i danni alle aziende agricole colpite dagli incendi. «C’è stato uno studio fornito dall’università di Reggio Calabria – continua Merlino – che attraverso un’analisi tecnica, confrontando le immagini satellitari catturate prima e dopo gli incendi, ha calcolato che solo nell’area del parco sono andati distrutti circa duemila ettari di bosco: il cinque per cento dell’area protetta. Si tratta solo di una stima iniziale, non sappiamo ancora con esattezza tipo di specie sono state le più colpite».
Tra queste specie tuttavia non c’è l’Abeis Nebrodensis, il rarissimo abete in via d’estinzione che vive soltanto in una determinata zona delle Madonie. «Il sito dell’Abeis per fortuna è stato soltanto sfiorato – dice il presidente – Il fuoco è arrivato molto vicino tra il 30 luglio e il primo agosto, quando è bruciata la Padella a Polizzi, un rogo che ha lambito il vivaio di Piano Noce, dove si trova il vallone Madonna degli Angeli dove cresce l’Abeis. Sono solo trenta piante che avremmo protetto a costo della vita».
Nulla da fare purtroppo per la Padella di Quacella, sempre sul territorio di Polizzi Generosa, un incavo naturale nel quale grazie a un particolare microclima crescono anche piante piuttosto rare. «È un geosito e fa parte della rete Geopark e adesso è tutto bruciato. Sono in corso le verifiche per capire che tipi di interventi si possono pianificare, almeno nell’immediato. Il rischio è che alle prime piogge, essendo un’area scoscesa, si inneschino fenomeni erosivi. Quella del parco è un’area vasta, il personale è esiguo, non possiamo fare miracoli – conclude Merlino – Ci confrontiamo spesso con le forze dell’ordine, anche se non ci facciamo grosse illusioni sul fatto che i responsabili vengano presi, però qualche pista ce l’hanno. Hanno acquisito immagini da telecamere e ci stanno lavorando. Aspettiamo con fiducia».
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