Palermo ricorda il profeta Carnevale  Camusso: «Figura ancora attuale»

Era un precursore, «un profeta», perché da operaio edile difese i diritti dei contadini cogliendo l’evoluzione della mafia dai latifondi di campagna alle opere pubbliche in città. Salvatore Carnevale, sindacalista della Cgil, socialista, assassinato il 16 maggio di sessantuno anni fa, è stato ricordato questa mattina con una cerimonia semplice al Giardino della Memoria di Ciaculli. Un albero piantato, una targa e la sua storia, ricostruita dal responsabile legalità per la Cgil Dino Paternostro. C’erano il sindaco Leoluca Orlando, il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, il prefetto Antonella De Miro, il questore Guido Longo, il sindaco di Sciara Salvatore Rini, il vicepresidente nazionale dell’Unci Leone Zingales, il presidente della sezione distrettuale dell’Anm Matteo Frasca

Insieme a Carnevale è stata commemorata anche la madre Francesca Serio, che accusò i mafiosi di Sciara, piccolo centro del palermitano, dell’omicidio del figlio e si costituì parte civile ai processi, celebrati in Campania per legittima suspicione e conclusi con una condanna degli imputati all’ergastolo in primo grado e con l’assoluzione nei successivi gradi di giudizio per insufficienza di prove. «Ha saputo legare in modo profetico la promozione della legalità nelle campagne a quella nelle città – sintetizza per tutti il sindaco Orlando -. Proprio lui, lavoratore edile simbolo dello sviluppo urbano, fu ucciso per aver difeso i diritti dei lavoratori delle campagne». Da dirigente sindacale Carnevale seppe coniugare la lotta operaia a quella per la riforma agraria. Nel 1951 venne arrestato durante l’occupazione delle terre dei feudatari Notarbartolo. Uscito dal carcere, riparò in Toscana per due anni. Ritornò in Sicilia nel 1954 facendosi assumere presso una cava, sempre nella proprietà dei Notabartolo, gestita dalla ditta Lambertini, che forniva materiale per la costruzione del doppio binario nella tratta di Termini. E lui, l’eretico, cosa osò fare? Organizzò gli operai sotto la sua guida battendosi per la giornata lavorativa di otto ore. E alla fine pagò con sei colpi di lupara, all’alba del 16 maggio 1955, mentre andava a lavorare.

Oggi Salvatore Carnevale non fa parte dell’immaginario collettivo, diversamente da figure iconiche come Falcone, Borsellino o Impastato. Nondimeno «dobbiamo ricordarci di tutti i caduti per mano mafiosa, noti e meno noti, recenti e meno recenti – sottolinea Frasca -. Come sappiamo purtroppo la mafia non ha mai fatto distinzioni di ceto, età o categorie, ha colpito tutti coloro che si sono contrapposti ai suoi disegni criminosi con una ferocia inaudita: magistrati, forze dell’ordine, politici, cittadini comuni, sacerdoti, bambini. Carnevale ci aiuta a ricordare che i diritti possono essere difesi solo dallo Stato e nella legalità e non possono mai essere delegati o rimessi alla mafia. Ciclicamente ritorna lo slogan della ‘mafia che dà lavoro’ e dello Stato che lo toglie – conclude il magistrato -. Dobbiamo fuggire da questa idea pericolosissima oltreché infondata, perché Cosa Nostra distrugge l’economia e il diritto al lavoro». «Carnevale è una figura straordinariamente attuale – sostiene Camusso – perché ci dice come la lotta alla mafia debba essere fatta comprendendo le sue trasformazioni: allora nel passaggio dalla forza bracciantile alla lotta degli edili, oggi nel passaggio tra le diverse attività economiche».

«Mentre tutti parlavano mi sono commosso e ho pianto con tutti i sentimenti – racconta alla fine della cerimonia un cugino, Filippo Franciamore, di 69 anni -. Quando l’hanno ucciso ero un ragazzino. Gli offrirono terre e ricchezze per sé e la sua famiglia ma rifiutò. Avrebbe potuto agire nel proprio interesse, fare il furbo, ma non lo fece. Preferì essere pazzo per aiutare gli altri. Come Gesù, che si è fatto ammazzare per il mondo. Carnevale si è fatto ammazzare per Sciara e io voglio dirlo ad alta voce». Un altro cugino, Domenico Serio, di 74 anni, piange emozionato al suo fianco. Non riesce a parlare. 

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