Sette corone di fiori. E un’assenza. Davanti la lapide in via Isidoro Carini, che a Palermo ricorda il sacrificio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, ucciso da Cosa nostra 33 anni fa, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo, le istituzioni hanno reso omaggio a quello che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha definito «un grande esempio». Folla delle grandi occasioni sul luogo dell’eccidio. Con un grande assente, però. Il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, non ha partecipato alla commemorazione. In sua vece l’assessore regionale alla Formazione e vice presidente della Regione, Mariella Lo Bello. Un’assenza che fa il paio con quella, pochi giorni fa, il 29 agosto, in via Alfieri in occasione della cerimonia in ricordo di Libero Grassi, l’imprenditore ammazzato da Cosa nostra per aver detto di no al pizzo.
«Crocetta era assente? Ah sì, non me ne ero accorta. Come mai?» dice la figlia del generale Dalla Chiesa, Rita, ai giornalisti. «È in vacanza? Da giornalista mi piacerebbe sapere perché qui non c’è. Amava il generale Dalla Chiesa, Crocetta?». Sul luogo dell’eccidio con il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, in rappresentanza del Governo, c’erano, invece, tra gli altri, il comandante generale dell’Arma dei carabinieri, Tullio Del Sette, il sindaco, il prefetto e il questore di Palermo, rispettivamente Leoluca Orlando, Francesca Cannizzo e Guido Longo, il capo della Procura, Francesco Lo Voi, l’aggiunto Vittorio Teresi, e il procuratore generale Roberto Scarpinato. Ma c’era soprattutto la gente affacciata ai balconi dei palazzi. «Quella sera non c’era nessuno – ricorda Rita Dalla Chiesa -. Da quando è morto mio padre molte cose sono cambiate a Palermo. Perché secondo me, i siciliani hanno cominciato a ribellarsi» dice, ammettendo, però, di aver «sempre avuto la sensazione che mio padre, amatissimo in tutta Italia, qui sia una vittima di serie B. Probabilmente perché non era siciliano». Anche la scelta di vivere per metà a Roma e per metà a Mondello «mi è pesata psicologicamente, ma ritengo sia giusta – ammette – perché mio padre e mia madre amavano moltissimo Palermo. E poi qui lo sento vicino, molto più che da qualunque altra parte»
Dopo un minuto di raccoglimento e il silenzio intonato dai militari dell’Arma, un lungo applauso ha saluto il prefetto, la moglie e l’agente di scorta. Dalla Chiesa «fu punito non per le cose che aveva fatto, ma per quelle che si pensava avrebbe fatto. Un omicidio per prevenire la sua azione di bonifica» ha detto il capo del Viminale, prima di spostarsi nella chiesa di San Giacomo dei Militari, all’interno della caserma, sede del Comando Legione Carabinieri Sicilia, dove il cappellano della Legione, don Salvatore Falzone, ha officiato la messa. «Dio ci ha donato la luce che rischiara le tenebre e i nostri caduti, che hanno agito e operato per la luce e nella luce. Questa luce dà fastidio, si cerca di spegnerla ma non ci sono riusciti».
Per il sindaco Leoluca Orlando, «Palermo ha il dovere di ricordare quella strage, che ha segnato la storia della nostra città ed anche la storia della lotta alla mafia, rappresentando purtroppo in modo simbolico le, per allora indicibili, connivenze fra parte del potere politico, quello affaristico e le cosche. Al Generale Dalla Chiesa e a chi con lui ha perso la vita dobbiamo e sempre dovremo un profondo ringraziamento, come a tutti coloro che con affetto e dedizione ne ricordano la memoria e l’impegno».
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