Eroe. Il dizionario nella lingua italiana definisce tale «chi, in imprese guerresche o di altro genere, dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo azioni straordinarie». E allora non sono delle eroine tutte quelle donne che con «grande valore e coraggio» affrontano le difficoltà della vita quotidiana riuscendo a coniugare i loro molteplici ruoli? Per la ricorrenza di questo otto marzo abbiamo deciso di proporvi tre storie straordinariamente normali di donne impegnate nelle loro intense vite all’ombra dell’Etna.
Sara Chiglien ha 37 anni, è sposata con Natale da 14 anni e ha due bambini, Samuele di quattro anni e Mattia di due anni e mezzo. Una mamma che lavora, seppure part-time, che deve costantemente organizzarsi per poter gestire tutto. «Saluto mio marito la mattina alle sette e mezza e lo rivedo la sera», racconta. A darle una grossa mano daiuto è un’altra donna, la mamma, con la quale al momento vive. La mattina tiene il piccolo Mattia mentre accompagna il maggiore, Samuele, all’asilo. «Una volta tornata mi occupo della casa – dice – faccio la casalinga. Poi mi preparo per il pranzo e vado a riprendere mio figlio all’asilo». Il tempo corre, però. Dopo pranzo – che per Sara consiste spesso in «qualcosa al volo» – deve andare a lavorare.
È una delle dipendenti Fastweb che ha penato per il suo posto di lavoro. Ad aprile, quando labbiamo conosciuta, lei e la sua famiglia dovevano anche affrontare il problema della disoccupazione del marito che adesso, seppur con un contratto a termine, sembra rientrato. Così i bambini stanno con la nonna fino alle 18 circa, quando torna a casa il papà. «Lorganizzazione è la chiave di tutto spiega Sara è tutto programmato tanto che gli imprevisti sono sempre causa di problemi», aggiunge. «Mia madre è una risorsa importantissima per me, senza la quale avrei grosse difficoltà sia economiche, perché dovrei pagare qualcuno che stia con i miei figli, sia in senso affettivo – continua – Sono più felice se possono stare con la nonna piuttosto che con un estraneo, ma è anche vero che non posso limitarla sempre, non è giusto». La speranza di vivere in una casa tutta per sé è dietro l’angolo, ma questo significherà perdere l’aiuto della madre. «Sono felice della mia famiglia e sono sicura che io e mio marito riusciremo a cavarcela». Intanto sogna un asilo in azienda. «Sarebbe una cosa eccezionale poter avere i figli vicino e quindi evitare di correre di qua e di là e poterli andare a trovare nei momenti di pausa».
Altrettanto impegnata è la quotidianità di Giuliana Gianino. Presidente dell’associazione Talità Kum, 37 anni, da quando ne aveva 16 ha iniziato a occuparsi dei ragazzi a rischio di marginalizzazione di Librino. «Ho sempre fatto volontariato, anche in tempi in cui non c’erano né attestati né rimborsi spese», spiega. Il centro che ha fondato è un piccolo miracolo nato nel cuore di un quartiere che poco o niente offre ai suoi abitanti più indifesi. Nel suo percorso personale, sono fondamentali due viaggi compiuti in Africa, prima in Tanzania e poi in Mozambico. «Queste esperienze mi hanno indirizzato verso la strada che avrei voluto seguire, l’impegno nel sociale».
Non è la sua attività principale, ma il lavoro di Giuliana rientra parzialmente nel campo che l’ha conquistata da tempo. Insegnante di Filosofia alle scuole superiori, i tagli all’istruzione l’hanno condotta ad una cattedra a Reggio Calabria. «Quattro giorni alla settimana faccio la spola, in modo da arrivare in tempo per aprire il centro». La cura di un esperimento tanto importante quanto fragile è costante. Ma, riconosce lei stessa, questo impegno totalizzante è possibile perché al momento Giuliana non ha una sua famiglia. «Con dei figli sarebbe molto difficile». Di storie di donne dalla vita estremamente complicata lei ne vede ogni giorno: «Madri minorenni che non possono andare a scuola perché non hanno chi badi ai figli. Oppure – continua – mogli costrette a lavorare perché i mariti si trovano in carcere». Per questo motivo da due anni è attivo al mattino e al pomeriggio uno spazio gioco per bambini, un luogo sicuro dove poter lasciare i più piccoli. «L’anello più debole a Librino è la donna. Ma allo stesso tempo è lei il centro della famiglia».
Federica Alecci, 26 anni, operatrice di ripresa dell’emittente locale TeleJonica«Ogni giorno sul campo». Quello di Federica Alecci non è un lavoro che – per stereotipi o per ragioni ignote – solitamente vede donne protagoniste. Di operatrici di ripresa nel mondo del giornalismo non se ne vedono tantissime. «A Catania saremo solo due o tre», ammette. Ventisei anni, è membro dello staff tecnico dell’emittente locale TeleJonica. «Faccio questo lavoro con vera passione», spiega. E l’impegno che profonde nel suo mestiere trasuda da ogni parola, con la naturalezza che solo la dedizione regala.
L’amore per la fotografia la porta a imbracciare la prima – pesante – videocamera a vent’anni, quando «ho iniziato a fare gavetta». Nel corso della sua esperienza, Federica non ha mai incontrato sguardi stupiti (o peggio) da parte dei colleghi uomini. «I primi tempi mi davano consigli, mi aiutavano. Adesso c’è un ottimo rapporto», spiega con serenità. Il suo percorso – «affrontato con molta tranquillità» – ha inizio nel 2005. Oggi il suo lavoro la porta a girare per la città. Una famiglia? Al momento non è la priorità. E alle difficoltà ci si penserà quando si presenteranno. Come solo le donne sanno fare.
[Foto di muufi]
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