Ospedali siciliani, in cinque anni 46 aggressioni Il 2016 è l’anno peggiore per medici e infermieri

«Trascorriamo le giornate non a lavorare, ma a difenderci dalla connivenza, dalle aggressioni, da gente che propone truffe. Vorrei capire perché non c’è un posto di polizia al pronto soccorso e soprattutto perché esistono storie del genere». Lo scorso settembre la dottoressa Angela Strazzanti, aggredita al pronto soccorso Vittorio Emanuele di Catania, commentava così la sua quotidianità lavorativa, in trincea in uno dei presidi di emergenza più difficili della città. Da quel giorno a oggi in Sicilia si sono registrate altre sei aggressioni a medici e infermieri. L’ultima due giorni fa a Partinico, al pronto soccorso dell’ospedale Civico, dove un infermiere è stato colpito al volto, subendo una frattura scomposta allo zigomo e un’altra all’osso temporale, con una prognosi di trenta giorni.

In totale nel 2016 le aggressioni sono state 15, un record, al culmine di cinque anni in cui la situazione è continuamente peggiorata. Solo un caso nel 2012, quattro nel 2013, 12 nel 2014 e 14 nel 2015. Fino ad arrivare all’anno che non si è ancora concluso. «In totale 46 aggressioni fisiche negli ultimi cinque anni – denuncia la federazione dei sindacati indipendenti Fsi-Usae – senza considerare quelle che vengono tenute nascoste per paura di ritorsioni e restano solo notizia interna al reparto, le minacce verbali, spintoni che arrecano gravi danni alla salute degli operatori con conseguenze sull’equilibrio psicologico, tali da compromettere il loro buon funzionamento lavorativo». 

Le maggiori denunce si registrano in provincia di Catania: dal 2012 a oggi sono stati 27 i casi segnalati negli ospedali Vittorio Emanuele, Garibaldi, Cannizzaro di Catania, al Santissimo Salvatore di Paternò, a Nicolosi e alla Rems di Caltagirone. Segue la provincia di Palermo, con violenze avvenute al pronto soccorso di Villa Sofia, al Policlinico e, ultimo caso, a Partinico. Denunce sono arrivate anche da Licata, Siracusa, Vittoria e Trapani

«I motivi di questa situazione sono essenzialmente tre – denuncia Calogero Coniglio, coordinatore regionale del sindacato – i posti letto insufficienti, così come il numero dei vigilantes, che dovrebbero essere assunti dalle aziende ospedaliere, e naturalmente i tempi di attesa». A proposito di quest’ultimo punto, Coniglio sottolinea l’esperimento portato avanti, «con ottimi risultati», a Firenze e Bologna. «Lì, per volontà delle due Regioni, i codici bianchi possono essere trattati dagli infermieri che hanno seguito un apposito corso di formazione e il bilancio è stato positivo». 

Secondo il sindacato, però, anche «le violente campagne di politici e giornalisti nei casi di presunta malasanità contribuiscono a esasperare gli animi. Se l’organizzazione non funziona, se il 118 non sa dove andare o se non ci sono posti letto, non è certo colpa del singolo operatore. Siamo arrivati anche alla speculazione – conclude l’infermiere sindacalista – con i bigliettini degli studi legali lasciati nelle sale di attesa degli ospedali per istigare a rivolgersi agli avvocati nel caso di problemi con il personale sanitario, promettendo risarcimenti economici». 

Salvo Catalano

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