Orlando, Sciacca e la macchina del tempo

Caro Giulio,

tu mi insegni che la realtà supera sempre la fantasia. Ci vorrebbe troppa immaginazione, in effetti, a pensare che uno condannato per diffamazione aggravata con sentenza definitiva (dunque: anche in Cassazione) affermi pubblicamente e candidamente di aver chiesto l’annullamento della sentenza. A Roma si domanderebbero: “Ma de che”? Ad agire così è stato Leoluca Orlando, già sindaco di Palermo (a proposito: ma poi si ricandida a Palazzo delle Aquile o no)? E’ stato ospite qualche settimana fa di “Un giorno da pecora”, un programma divertentissimo di Rai Radiodue che va in onda all’ora di pranzo. Una trasmissione nella quale i due conduttori, Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro, cazzeggiano in studio con ospiti politici.
Durante quel programma ad Orlando viene fatta una domanda semplicissima: “Scusi, visto che il suo partito (Italia dei Valori) sostiene che i condannati non devono più sedere in Parlamento, lei stesso dovrebbe dimettersi”. Immagini che Orlando si sia scomposto? Ovviamente no, e si è giustificato così: “Sono stato condannato per aver detto delle cose durante un comizio a difesa di un sindaco che faceva la lotta alla mafia, ma ero parlamentare europeo, e godevo dell’immunità parlamentare. Ho chiesto l’annullamento della sentenza per mancata notifica (!), e forse torneremo in Tribunale e qualcuno di quelli che mi hanno querelato magari sarà condannato al posto mio”.
Delirio, dunque. Ops, io l’immunità non ce l’ho. Ritiro il “delirio”. La spiegazione “di comodo” all’ascoltatore di Bassano del Grappa o di Viterbo magari può perfino sembrare convincente. Ma all’ascoltatore di Sciacca (che non è l’ombelico del mondo) ha fatto venire un po’ d’orticaria. Sì, perché le cose a cui Orlando si riferisce nascono qui, in questo meraviglioso fronte del porto da cui settimanalmente ti scrivo. Nel 1999 Orlando diffamò i consiglieri comunali di Sciacca, che si permisero l’ardire di sfiduciare, scalzandolo dalla poltrona di sindaco, il suo amico Ignazio Messina (oggi suo collega alla Camera). Alla garibaldina, pochi giorni prima del voto decisivo, Leoluca salì sul palco della nostra piazza e attaccò davanti a tutti i consiglieri sfiducianti, accusandoli sostanzialmente di avere interessi mafiosi sulla liquidazione dei terreni della Sitas.
Scattò la querela, e Orlando fu condannato. Durante i tre gradi di giudizio tentò di far valere il principio dell’immunità parlamentare rispetto al reato d’opinione. I giudici lo respinsero. In sede civile fu “aggredito” il patrimonio personale di Orlando, tramite il pignoramento della sua indennità di parlamentare. Consiglieri risarciti. Nessuna richiesta di annullamento della sentenza, come comprenderai, è dunque possibile. A Sciacca per ora non si parla d’altro.
Io dico la mia. Per dirla con uno dei consiglieri sfiducianti, l’ex sindaco di Palermo, alla domanda, avrebbe fatto meglio a giustificarsi definendo la vicenda come un “eccesso di gioventù”. Invece lui non solo non ha lasciato, ma ha quasi raddoppiato. La verità è quella che ti ho raccontato. Forse la prossima proposta di Italia dei Valori sui condannati in Parlamento proporrà una discriminazione tra i reati per i quali non è etico rappresentare i cittadini. Secondo me sarebbe giusto. Perché sono il primo a sostenere che la diffamazione aggravata sia un reato assai meno grave della concussione o della corruzione. Dire però “se tornassi indietro rifarei lo stesso comizio” è cosa di facci tosta. Meno male che la macchina del tempo non esiste. Non trovi?

Un caro saluto.

 

Massimo D'antoni

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