«Non hai più Frontex presente, Eunavformed ormai c’ha quattro navi di cui, per questa parte qua, ce ne tiene, se va bene, una e mezza per ammissione di Credendino (l’ammiraglio che comanda la missione Eunavformed ndr) per cui non c’è più disponibilità. Mare sicuro sembra che si sia evaporata in una nuvola rossa quindi, di fatto, in Sar Zone ci siamo noi, come Ong, e Guardia Costiera. Punto». Per capire cosa succede davvero nel Canale di Sicilia e perché i rapporti tra alcune organizzazioni non governative, come la tedesca Jugend Rettet, e Roma sono diventati molto tesi, è utile partire da questo scenario. Lo descrive un medico, imbarcato sulla nave Iuventa per dare assistenza: si chiama Stefano Sprinelli e fa parte dell’associazione Rainbow for Africa. Spinelli a maggio del 2017 decide di non fornire più collaborazione alla ong tedesca, ne prende le distanze e segnala alla Guardia costiera di Roma delle anomalie nella gestione dei soccorsi.
Il medico teme inoltre che, considerata la situazione di isolamento delle ong e il crescente attivismo della Guardia costiera libica (finanziata da Italia e Unione europea), possano succedere spiacevoli incidenti. Ipotizza «sventagliate di mitra» da parte dei libici o incroci pericolosi, come già successo il 10 maggio con i tedeschi della ong Sea Watch, quando un mezzo militare libico ha impedito il soccorso di un barcone in difficoltà fuori dalle acque libiche, passando pure a pochi centimetri dalla nave della ong.
Le navi più piccole, come la Iuventa, che non attraccano mai nei porti italiani ma, dopo averli salvati, trasferiscono i migranti in imbarcazioni più grandi, sono diventate un problema per la Guardia costiera italiana. «È evidente che ci sono dei grossi controlli di sicurezza sulle unità piccole – dice Spinelli, intercettato mentra parla con Tommaso Fabbri, capo missione di Medici senza frontiere in Italia -, perchè non garantiscono più di potere assistere per i transfer, soprattutto, giustamente, non vogliono doversi ritrovare a soccorrere il soccorritore come è successo nel weekend di pasqua».
Meno mezzi militari italiani ed europei nel Mediterraneo e maggiore intervento dei libici. La mutata situazione spinge diverse ong a interrogarsi sui rischi e sui limiti della loro attività, anche in una riunione a Roma dove si confrontano i referenti delle varie organizzazioni non governative. Dove stazionare? Ai limiti delle 12 miglia, cioè appena fuori le acque libiche col rischio di nuovi incroci pericolosi con la Guardia costiera del Paese nordafricano, o indietreggiare su una linea fissata tra le 22 e le 24 miglia? È su questo terreno che il fronte delle ong sembra spaccarsi, con le tedesche – Jugend Rittet, Sea Watch e Sea Eye (solo l’ultima ha firmato pochi giorni fa il codice di condotta del Viminale) – che rimarrebbero isolate su posizioni più radicali, disposte a tutto pur di salvare quanti più migranti.
«È necessario, facciamo un minimo di passettino operativo indietro – spiega Spinelli al telefono con Fabbri, di Msf, che condivide il ragionamento -, stazioniamo sempre fuori dalla linea delle 24 miglia, entriamo solo su richiesta di Imrcc (il comando generale della Guardia costiera di Roma ndr) almeno fino a che non si capisce Guardia costiera libica cosa vuole fare. Il problema è che mi hanno detto di no – continua ancora il medico, riferendosi ai tedeschi di Jugend Rettet -, ma mi hanno anche fatto capire che a loro gli va bene di andare a fare mobbing alla Guardia costiera libica, capito? E, io sinceramente, di mettere un team sanitario a bordo di una nave che poi attivamente cercherà l’incidente – loro negano, però, secondo me, poi l’esito sarà questo – io quell’incidente non lo voglio! Anche perchè, secondo me, è dannoso per tutte le ong che sono in mare, non solo noi. Loro hanno preso sta svolta, stanno un pò dietro a Sea Watch ed io ho molta paura che si tireranno verso un ruolo più attivistico, diciamo, che di soccorso nel prossimo futuro». Un concetto ulteriormente ribadito poco dopo: «Queste ong tedesche hanno tutte quell’estrazione molto no-border e non hanno ben chiaro la differenza tra un mandato umanitario e un mandato attivistico».
Questo approccio troverebbe riscontro nel cartello con la scritta Fuck Imrcc appeso alla prua della Iuventa, durante lo scalo a Lampedusa. «Che se c’ero io sulla nave li prendevo a zampate nel culo, li buttavo tutti fuori bordo e gli facevo fare tutto il porto a nuoto», commenta Spinelli che teme la nascita di «un coordinamento parallelo in mare con altre ong, proposto da Jugend Rittet, presupponendo che Imrcc non sia in grado di fare il proprio lavoro».
Le intercettazioni effettuate dagli investigatori – squadra mobile di Trapani e Servizio centrale operativo – raccontano anche di un dibattito acceso, tra esponenti delle Ong, sul ruolo della polizia giudiziaria a bordo delle imbarcazioni e sulla possibilità di fronire informazioni utili alle indagini alle forze dell’ordine. Passaggio centrale e molto discusso del nuovo codice di condotta varato dal ministero dell’Interno. Una ragazza imbarcata sulla Iuventa discute con un giovane tedesco, parte dell’equipaggio di un’altra ong. Entrambi vengono intercettati mentre sono a Malta, durante una sosta tecnica. Il ragazzo dice di essere pronto, qualora la polizia glielo chiedesse, a consegnare fotografie di possibili trafficanti in modo da non ostacolare le indagini. Posizione che la sua interlocutrice non condivide. La ragazza sottolinea che «non è questo il compito del salvataggio in mare se si vuole essere apolitici; fare fotografie e metterle a disposizione significa coadiuvare; questo è quello che Msf, essendo apolitica e neutrale, non farebbe mai. Non è questo l’incarico. Bisogna muoversi neutralmente».
È il dibattito che, pochi mesi dopo, al momento della firma del codice di condotta, ha spaccato il fronte delle ong. Con Medici senza frontiere in particolare, sostenuta da Emergency, che prende le distanze dalla presenza di personale militare e bordo. «Consentire l’accesso a bordo di personale militare, presumibilmente armato – ha sottolineato recentemente l’associazione di Gino Strada – è di fatto un’aperta violazione dei principi umanitari che sono il pilastro delle azioni delle ong in tutto il mondo. Tale concessione rischia di creare un pericoloso precedente che potrebbe essere mutuato in altre realtà dove da anni siamo riusciti a far accettare il principio per cui le nostre strutture di ricovero e cura sono aperte a tutti coloro che hanno bisogno di assistenza, e dove nessuna persona armata può avere accesso. Ciò non ha mai impedito a governi e istituzioni di vigilare sulla correttezza e sulla trasparenza del nostro operato».
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