Tre colpi di pistola al torace. Così sarebbe stato ucciso questa notte, poco prima dell’una, il 26enne Emanuele Burgio che si trovava in via dei Cassari nel quartiere della Vucciria in compagnia di alcuni amici. Sarebbero stati proprio loro ad accompagnare il giovane al Policlinico di Palermo dove è deceduto, dopo circa mezz’ora, a causa delle lesioni provocate dai colpi di arma da fuoco. Tutti e tre i proiettili avrebbero perforato organi vitali. Gli inquirenti della squadra mobile stanno portando avanti le indagini per individuare l’autore dell’omicidio e ricostruire la dinamica dei fatti. Al momento, non è chiaro se il delitto sia arrivato al culmine di una discussione degenerata in strada o se si è trattato di un agguato premeditato.
Gli investigatoti della sezione omicidi per tutta la notte hanno interrogato gli amici che erano insieme a Burgio nella zona del popolare mercato palermitano. Adesso, stanno sentendo anche alcuni parenti della vittima che, fuori dall’ospedale, avrebbero ripetuto più volte di sapere chi aveva ammazzato Emanuele. Intanto, sono già state visionate anche le immagini dei filmati delle telecamere di videosorveglianza della zona. Si tratta degli impianti di sicurezza degli esercizi commerciali, soprattutto pub e pizzerie che si trovano lungo la strada meta della movida cittadina.
A dare l’allarme alla polizia è stata la telefonata di un residente della zona. L’uomo ha raccontato agli agenti di avere sentito dei colpi d’arma da fuoco sparati nel cuore della notte. Quando le volanti sono arrivate sul posto hanno trovato delle tracce di sangue e i bossoli per terra. I rilievi sono stati effettuati, anche fino alla mattinata di oggi, dagli uomini della Scientifica. Dell’assassino nessuna traccia e anche la vittima era già stata portata al Pronto soccorso. Il 26enne, che era incensurato, è il figlio di Filippo Burgio, ritenuto il cassiere del clan mafioso che regge la zona di Palermo centro. Coinvolto nell’operazione Hybris del luglio del 2011, l’uomo è stato condannato con sentenza definitiva per mafia a nove anni di carcere. Per gli inquirenti, oltre a tenere la cassa della famiglia di Palermo centro, per un periodo avrebbe gestito la posta dell’allora latitante Gianni Nicchi.
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