Omicidio Scarso, i tre giovani chiedono l’abbreviato Il nipote: «Uno si è difeso parlando di un gavettone»

«Abbiamo avuto accesso agli atti in modo quasi totale e, oltre a leggere cose assurde nella dinamica dei fatti, quello che ci ha sconvolto di più è la crudeltà da parte dei ragazzi che non hanno mai manifestato, né nei confronti di mio zio né verso la mia famiglia né nei confronti della società, un minimo di pentimento per quello che hanno commesso». A parlare a MeridioNews è Salvo Scarso, il nipote dell’anziano siracusano aggredito e bruciato nell’ottobre dello scorso annomorto dopo due mesi e mezzo di agonia

Due dei giovani, Andrea Tranchina e Marco Gennaro, sono in carcere mentre il terzo ragazzo è indagato a piede libero perché, mentre aveva partecipato alle molestie davanti all’abitazione del signor Pippo Scarso nei giorni precedenti, non era presente sera fra l’1 e il 2 ottobre. «I due hanno chiesto disperatamente di poter scontare questo periodo agli arresti domiciliari, ma gli sono sempre stati negati». 

La prima udienza, fissata per il 20 settembre, in realtà, non si è celebrata perché tutti e tre i giovani hanno scelto di essere giudicati con il rito abbreviato, cosa sulla quale il Gip si pronuncerà il prossimo 9 gennaio. «Ho scelto il rito abbreviato condizionato – spiega a MeridioNews l’avvocato Giampiero Nassi, legale di Andrea Tranchina – innanzitutto perché per legge è previsto uno sconto di pena pari a un terzo e poi perché, in questo modo, sottoponiamo questa scelta a una integrazione di indagine che abbiamo indicato nella nostra richiesta e che il Gip dovrà valutare. Le indagini – afferma – sono state molto precise e minuziose, ma presentano lacune sulle condizioni di salute del signor Scarso prima dei fatti e sul periodo di degenza al pronto soccorso di Siracusa, durato ben 33 ore, prima di essere trasferito all’ospedale Cannizzaro di Catania. Ricordo – precisa – che l’anziano è morto dopo due mesi e mezzo di ricovero durante i quali potrebbero essere intervenute altre cause nel decesso che potrebbero non essere legate alla condotta contestata al Tranchina». 

Secondo quanto racconta il nipote della vittima che ha letto i documenti, Andrea Trachina, cioè il 19enne che avrebbe materialmente dato fuoco all’anziano avrebbe detto: «Siamo andati a fare un gavettone con l’acqua al signor Scarso, poi io ho acceso l’accendino per fare luce e l’anziano ha preso fuoco». «Cose – attacca Salvo Scarso – che manco Gesù Cristo sarebbe capace di far prendere fuoco all’acqua». L’avvocato precisa che quelle parole «Tranchina le ha dette, ma durante la prima dichiarazione, resa il giorno stesso in cui è stato arrestato negli uffici della questura, non ci hanno creduto nemmeno i suoi genitori e nemmeno io. Quelle affermazioni poi sono state corrette nel corso del tempo, quando il giovane si è reso conto che è meglio avere un atteggiamento collaborativo in pieno».

Inoltre, davanti al giudice il giovane si sarebbe rifiutato di fornire la password per accedere ai contenuti del suo cellulare sequestrato. «Forse – sostiene il legale –  nel telefonino il ragazzo aveva immagini che preferiva teneva per sé ma poi, in realtà, l’ha data dopo la nomina del consulente». Secondo l’avvocato Nassi, dunque, l’iniziale rifiuto comunque non era legato alla ipotetica esistenza di un video che riprende le aggressioni di cui hanno parlato due ragazzi sentiti in sede di indagini. «Pare – aggiunge il legale – che fosse di Marco Gennaro che, però, ha dichiarato di averlo distrutto. Io non ne so nulla».

Cercano giustizia i famigliari dell’anziano che tutti nel quartiere conoscevano come don Pippo. «Noi non vogliamo vendetta – dice il nipote – ma questi ragazzi al momento non sono in grado di stare nella società di oggi, anche perché nessuno dei tre ha mostrato un atto di pentimento». Adesso, per il prossimo passo, si dovrà aspettare gennaio del 2018. «La condotta contestata al Tranchina è spregevole e su questo non c’è dubbio – afferma l’avvocato Nassi – infatti nessuno chiederà mai l’assoluzione per lui, ma bisogna considerare che la vittima aveva più di 80 anni e soffriva di varie patologie gravi. Noi riteniamo che la morte sia arrivata non per le ustioni, che interessavano solo il 13 per cento del corpo e che in un soggetto sano sarebbero guarite in 15 giorni. Vogliamo avere certezza – conclude – che la condanna per omicidio volontario aggravato sia giusta». 

Marta Silvestre

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