Le immagini di videosorveglianza e la testimonianza di una terza persona, il ragazzo attualmente indagato a piede libero che non ha partecipato all’ultima aggressione, sono state la chiave di volta per arrivare a ricostruire i tre episodi di violenza nei confronti di Giuseppe Scarso, l’anziano bruciato vivo a Siracusa all’interno della sua abitazione e morto dopo due mesi di agonia all’ospedale Cannizzaro di Catania. Portando all’arresto del 18enne Andrea Tranchina.
«C’è stata pochissima collaborazione da parte degli abitanti, tutti sapevano ma nessuno parlava, al di là degli stretti parenti – lamenta il procuratore capo Francesco Paolo Giordano -. Ho visto che c’è stato un coro di persone che si meravigliavano e cercavano di sapere dove fosse lo Stato, lo Stato però non è qualcosa di avulso ma è fatto dai cittadini».
Il sostituto procuratore Andrea Palmieri ha spiegato la complessità delle indagini in questa vicenda in cui «sono coinvolti soggetti giovani non inseriti nel mondo della criminalità e questo ha reso le indagini estremamente più difficili. Una serie di immagini di varie telecamere osservate in maniera sequenziale – ha spiegato – hanno consentito di ricostruire i tre episodi, ma è stato complicato abbinare l’identità ai volti delle immagini».
Tranchina e il complice, attualmente ricercato e sul quale pende un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, sarebbero gli autori materiali dell’omicidio. Il terzo componente del gruppo sarebbe stato invece presente agli episodi precedenti del 28 e del 30 settembre. Quest’ultimo ha raccontato come erano andate le cose, perché nonostante non abbia partecipato al raid, «è stato messo al corrente di quanto era successo». Durante l’interrogatorio, ha anche fatto il nome di un quarto giovane che ha ricevuto le stesse confidenze. È così che il quadro si è completato. «Per chiudere il cerchio si è aggiunta da parte di Tranchina una ammissione importante anche se non integrale», hanno spiegato gli investigatori..
E mentre sulle tracce dell’altro presunto responsabile, che al momento è ricercato all’estero, si è messa anche l’Interpol, a mancare al momento è il movente. I fatti vengono ricondotti a una progressione di violenza nei tre episodi che culminano nella sera dell’1 ottobre, i cui eventi causeranno la morte dell’anziano don Pippo. Il procuratore capo Giordano parla di «un atto di bullismo, di criminalità estemporanea nata quasi come un gioco».
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