Omicidio Pagliarelli, caso chiuso troppo in fretta? I dubbi della difesa: «Il movente è stato smentito»

Un mero copia e incolla. Per la difesa di Pietro Seggio, 42enne accusato di aver ucciso Francesco Manzella il 17 marzo in via Costa, il gip chiamato a decidere se convalidare o meno il fermo e la custodia cautelare in carcere si sarebbe «limitato a riprodurre integralmente le ipotesi investigative, avallando in tal modo il ragionamento illogico e illegittimo proposto dagli organi inquirenti». Circostanza che per l’avvocato difensore, Giovanni Castronovo, avrebbe quindi viziato sin da subito la decisione del giudice. «L’orientamento giurisprudenziale è univoco nel ritenere illegittimo l’uso della tecnica informatica del cosiddetto copia-incolla poiché sintomatico del mancato controllo che è chiamato a svolgere il gip sulle richieste mosse dagli organi requirenti», si legge infatti nella memoria difensiva presentata dal legale di Seggio al tribunale del riesame, che si pronuncerà entro l’inizio della prossima settimana.

Sarebbe mancata insomma, secondo il giudizio della difesa, un’autonoma rielaborazione da parte del giudice, che si sarebbe esclusivamente basato su quanto messo insieme dall’accusa, mancando di dare adeguato peso e risposta a quanto avanzato allo stesso modo dalla parte opposta. Così come, di conseguenza, sarebbe venuto meno anche il dovuto controllo. Che la difesa spera possa arrivare, adesso, dal tribunale del riesame. Tuttavia, perché questo «possa compiere questa opera di “supplenza”, integrando la motivazione del primo giudice, occorre che una motivazione vi sia, vale a dire che sia riconoscibile un adeguato percorso argomentativo». Ma al presunto mancato controllo del primo giudice e del suo copia-incolla, ci sarebbero altri aspetti, secondo la difesa, di cui tener conto. Uno fra tutti la modalità, a suo dire «illegittima», con cui sarebbero state raccolte le dichiarazioni di Seggio, dopo il fermo. Ma come si arriva a lui?

Secondo la ricostruzione dell’avvocato Castronovo, tutto sarebbe partito dal rinvenimento, nel telefonino della vittima, del numero di cellulare dell’indagato, ritenendo – a suo dire «in modo del tutto infondato» – che si fosse reso irreperibile per sfuggire alle indagini. Pietro Seggio viene ascoltato il 18 e il 19 marzo, praticamente nei giorni immediatamente successivi al delitto di Pagliarelli, come persona informata sui fatti senza avvisare né lui né i suoi familiari che potevano avvalersi della facoltà di non rispondere. Insomma, per usare quanto riferito dal 42enne e dalla sua famiglia, Seggio avrebbe dovuto piuttosto essere sentito sin dall’inizio come indagato. Modalità ritenute invece legittime dal primo gip, che ha sottolineato dal canto suo come inizialmente le indagini per l’omicidio di Manzella fossero a carico di ignoti e che solo dal 26 marzo, quindi nove giorni dopo il delitto, Seggio venga iscritto nel registro degli indagati. Ed è a partire da questo momento, a detta del giudice, che sarebbero effettivamente emersi gli indizi contro di lui. Come quello, appunto, di essersi reso irreperibile allontanandosi da casa, dopo aver avuto contatti telefonici con la vittima il giorno della sua morte, circostanza per altro ammessa da Seggio.

Ma perché un uomo che non sa neppure di essere indagato o comunque cercato dalle forze dell’ordine dovrebbe rendersi irreperibile? E se questa circostanza fosse stata semplicemente male interpretata? È il dubbio che solleva adesso la difesa. Fino a quel momento il 42enne era, nel gergo della giurisprudenza, quisque de populo, cioè solo uno qualunque. Che nelle ore lontano da casa si trovava in un magazzino a Pioppo, dove era solito passare il tempo quando litigava con la moglie. Insomma, detta così non sembra esattamente un tentativo di fuga. E che, una volta rintracciato, ha parlato con gli inquirenti, ma senza la presenza di un avvocato e senza che si tenesse conto del fatto che si trattasse di persona soggetta alle cure del Sert. D’altronde, secondo la difesa, non sarebbe emerso nulla di rilevante neppure dalle dichiarazioni dei familiari più vicini.

Da un lato la moglie ha spiegato quale fosse la consueta reazione del marito in seguito a ogni loro violento litigio, dall’altro la sorella ha spiegato che la Panda color bronzo, che per gli inquirenti potrebbe essere compatibile con quella immortalata dalla telecamera della Edil System mentre attraversa via Olio di lino intorno all’ora dell’omicidio di Manzella, era sempre parcheggiata con le chiavi lasciate appese nel quadro, per cui potenzialmente chiunque avrebbe potuto utilizzarla, ammesso che si tratti della stessa automobile. Dato che viene non viene ripresa nella strada dove è stato ritrovato il cadavere. Non c’è insomma nessun dato certo sull’auto né su chi vi fosse alla guida. La sorella racconta anche di aver tentato lei stessa di saldare il presunto debito di 700 euro con lo stesso Manzella, che però avrebbe inspiegabilmente rifiutato quei soldi. Circostanza che, secondo l’avvocato, contribuisce a evidenziare «l’illogicità del movente ipotizzato». Nulla ha aggiunto poi il figlio appena dodicenne, sentito senza il supporto di uno psicologo o di un assistente sociale. Tutte dichiarazioni per il legale inutilizzabili, a cominciare da quelle di Seggio stesso. «Il turbinio di emozioni in capo all’indagato, unitamente alla sua condizione di tossicodipendenza, ha ingenerato in lui la confusione di ciò che avrebbe e non avrebbe fatto; e tutto ciò senza alcuna malizia, ma semplicemente per la sua oggettiva incapacità di poter gestire da solo ciò che, per ordine espresso dei principi costituzionali e di rito, si gestisce congiuntamente ad un avvocato», si legge nella memoria difensiva.

Che il gip ha invece interpretato, ancora una volta, in maniera opposta, parlando di «una elevata gravità indiziaria che porta a ricondurre, in maniera stringente e senza possibilità di ricostruzioni alternative, l’omicidio di Francesco Manzella alla condotta volontaria e premeditata di Pietro Seggio». Una certezza che per l’avvocato difensore appare «drammatica». In un quadro generale, per altro, manchevole di altre fondamentali circostanze, come l’esame dello stub (il cosiddetto guanto di paraffina) per rilevare eventuali residui di polvere da sparo, chiesto da Seggio ma mai effettuato, che avrebbe potuto contribuire a fugare i dubbi. Non si conoscono, ad oggi, neppure i risultati delle analisi scientifiche del luogo del delitto e degli oggetti presenti. Motivi che, ancora di più, inducono la difesa a parlare di un «ragionamento fallace» e di «deduzioni non ancorate ad alcun elemento fondato». Un ragionamento che, sempre per il legale, non avrebbe tenuto conto di altre possibili vie investigative. Come quella che poteva scaturire da alcune dichiarazioni della moglie della vittima intercettate a poche ore dall’omicidio, il 18 marzo alle 06:33 nella saletta degli uffici della Mobile: «Finiti tutti i progetti, tutte le cose, lui se ne voleva uscire mi diceva “me ne salgo là sopra, ora ci rugnu i piccioli e levo manu di tutte cose, gli do i soldi e non mi interesso più di tutto”». Una frase che per la difesa potrebbe aprire altri scenari, meritevoli di approfondimento.

Allo stesso modo di un’altra circostanza, quella del messaggio WhatsApp ricevuto dalla moglie della vittima subito dopo il delitto, che la informava dell’arrivo dei carabinieri e che la stessa ha ammesso di aver subito cancellato. «Tale elemento ulteriore è stato ignorato dagli investigatori», sostiene adesso la difesa, dal momento che nessuno le avrebbe chiesto chi le avesse inviato quel messaggio, fatto che forse avrebbe meritato un approfondimento. Ma che invece non sembrerebbe essere stato preso in considerazione. Tanto che il gip parla di «unica ricostruzione possibile che è fondata su precisi dati oggettivi e circostanze fattuali oggetto di accurati accertamenti». Complice un alibi definito sin dall’inizio dagli investigatori fragile e in più punti smentito dai testimoni ascoltati. Seggio ha dichiarato di avere avuto un appuntamento con la sua amante quella sera, poi andato in fumo perché lei non si sarebbe presentata. Una circostanza che la donna in questione non smentisce, ma che riporta nella stessa maniera: l’appuntamento tra i due ci sarebbe stato, lui le avrebbe scritto un messaggio per chiederle di raggiungerla ma lei non si sarebbe presentata. La difesa punta il dito anche contro un’altra ricostruzione dell’accusa, poi avallata dal gip, quello del possibile spostamento dalla pizzeria gestita da Seggio al luogo del delitto in meno di tre minuti, «mentre secondo il gps e il calcolo degli spostamenti del programma Google Maps ne occorrono almeno dieci poiché i chilometri da percorrere sono più di quattro, senza rilevare il traffico del sabato sera».

L’incontro tra Seggio e Manzella, per le ipotesi difensive, potrebbe essere legato solo a uno scambio di droga, cosa usuale fra i due. Anche quel debito di 700 euro, per gli inquirenti alla base del delitto, non esisterebbe nemmeno: «In realtà io non avevo alcun debito nei confronti di Francesco Manzella. In precedenza lui mi aveva fatto l’assicurazione, a me erano arrivati dei soldi e io gli ho fatto un regalo da duemila euro. Ma glieli avevo già dati tutti. Anche sua moglie può confermarlo. Domenica, quando l’ho chiamato la prima volta per la dose di cocaina, lui mi ha scritto che non dovevo metterlo nei casini. Io gli ho detto di vederci nel vicoletto e lì mi sono lamentato con lui del fatto che si fosse inventato quella storia dei settecento euro con mia moglie. Lui mi ha risposto che l’ha fatto per non mettere in mezzo altre persone per le quali era lì quando ha visto mia moglie». L’inesistenza del debito, per la difesa, spiegherebbe il rifiuto della vittima di accettare il saldo da parte della sorella di Seggio. E anche il fatto che, prima di morire, quel giorno aveva continuato a rifornirlo. Se avanzi 700 euro da un tuo cliente, tu spacciatore continui a rifornire di droga chi non salda i debiti accumulati? Per l’avvocato, come minimo o ti rifiuti o reagisci violentemente. Circostanze che in questo caso non si sarebbero verificate. Oltre al fatto che altri testimoni, indicati da Seggio stesso, avrebbero smentito l’esistenza di questo debito, per cui il movente ad oggi sembrerebbe smentito.

E infine anche la scena del crimine sembrerebbe fornire già qualche elemento: come il fatto che «non sono stati ritrovati oggetti inerenti la condotta omicidiaria», che fa supporre che la scena sia stata ripulita e risistemata, circostanza che la difesa tende a escludere nel caso di Seggio, visto che solo quel giorno aveva assunto per due volte cocaina, cosa che per questo potrebbe escludere una lucidità tale da commettere un omicidio e poi ripulire tutto. «Tutte le sue azioni erano in gran parte verificate e verificabili», spiega la difesa nella memoria, convinta di avere raccolto tutti gli elementi necessari per dimostrare l’innocenza di Pietro Seggio.

Silvia Buffa

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