«Mi devo ammuccare a Mimmo». Così avrebbe detto Natale Romano Monachelli a Gaetano Fontana, quando lo incontra in quella fatidica sera del 1995 in via dei Cantieri, armato di pistola e sconvolto in viso. Lo racconta oggi in aula, al processo che vede Monachelli unico imputato per il duplice omicidio del fratello Filippo e della cognata Elena Lucchese uccisi nel 1994, il collaboratore di giustizia Vito Galatolo. Il presidente di corte Biagio Insacco, infatti, ha voluto riascoltarlo come teste assistito. Il pentito ha riepilogato e confermato tutte le dichiarazioni già rese nelle precedenti udienze, durante le quali era stato sentito in qualità di imputato per reato connesso. Galatolo ha dichiarato che quando era detenuto al Pagliarelli, insieme a lui nello stesso piano si trovavano anche Gaetano Fontana e Antonino Pipitone, reggente della famiglia dell’Arenella. Sarebbe venuto a conoscenza del duplice omicidio del ’94 proprio ascoltando un discorso fra i due detenuti.
«Ma che fai con questa pistola? Devi fare una rapina?», avrebbe chiesto Gaetano Fontana a Romano Monachelli la sera dell’incontro in via dei Cantieri. La risposta lo gela: era lì per uccidere Mimmo Pipitone. Giovanni Bonanno, infatti, per un suo tornaconto personale, aveva fatto credere a Romano Monachelli che Nino Pipitone, padre di Mimmo, fosse il responsabile dell’omicidio del padre avvenuto negli anni ’70. «Ma che fai, che tu non sei nemmeno un mafioso, non c’entri niente!», avrebbe detto in risposta Gaetano, distogliendolo. Lo stesso che, tempo dopo, riferiva l’accaduto per filo e per segno proprio a Nino Pipitone col quale era detenuto, in presenza di Vito Galatolo, che lo riferisce al processo. «Non ricordo di aver mai letto queste cose sui giornali», dichiara Galatolo in aula, collegato in video. Molte domande vertono proprio sulla figura di Giovanni Bonanno, reggente del mandamento di Resuttana, per capire in che modo abbia aiutato nel ’94 l’imputato a occultare i due cadaveri. Motivo, secondo le ricostruzioni dei magistrati, che lo avrebbe spinto a chiedere proprio a Romano Monachelli l’anno dopo di uccidere Pipitone junor.
Le stesse domande vengono rivolte al collaboratore di giustizia Maurizio Spataro, anche lui risentito oggi in aula in qualità di teste assistito. Anche lui, come Galatolo, ha riferito quanto già detto in passato come imputato per reato connesso, confermando quanto aveva probabilmente appreso in quanto autista personale proprio di Giovanni Bonanno. Il racconto di entrambi i pentiti incrimina l’unico imputato del processo. Decide di non avvalersi della facoltà di non rispondere, invece, Erika Stjernquist, l’ex compagna di Romano Monachelli, la prima ad accusarlo del duplice delitto e oggi collegata dalla Svezia per rispondere ai giudici. L’udienza si è conclusa con la decisione del presidente Insacco di acquisire le sentenze di assoluzione in primo e in secondo grado di Giovanna Vitale, madre dell’imputato, processata in un procedimento parallelo a questo per falsa testimonianza. Rigettata, invece, l’integrazione agli atti già acquisiti di un verbale, quello dell’avvocato svedese Sune Kildren.
L’avvocato è un teste importante della difesa, riassunta a tutti gli effetti dai legali Salvatore Pirrone e Angelo Barone: sono loro che lo ascoltano una prima volta l’11 marzo 2010 e una seconda il 9 maggio dello stesso anno. A mancare agli atti, secondo il procuratore generale Giuseppe Fici, sarebbe proprio il primissimo verbale. Quella di Kildren è una deposizione importante, non solo perché è stato il primo a raccogliere il racconto di Erika sull’omicidio, ma anche perché è sulla base della sua testimonianza che la difesa punta a dimostrare che il pentimento di Erika per avere inventato tutto si manifesta immediatamente, già nel 2001. Mentre l’accusa, al contrario, insiste nel sostenere che il suo pentimento sarebbe giunto a posteriori, intorno al 2010, durante la fase dibattimentale del processo di primo grado. La prossima udienza si svolgerà a giugno e sarà il momento in cui tutte le parti dovranno pronunciarsi per l’ultima volta.
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