«Davide è molto provato. È una persona semplice, con un alto senso del pudore. Ha sofferto nel vedere una scena del genere perché dice che, se non ci fossero state le telecamere, non l’avrebbe fatta». A parlare a MeridioNews, a poco più di una settimana dalla sentenza di secondo grado con cui la corte d’Appello di Catania ha confermato la condanna a 30 anni per Veronica Panarello, è Daniele Scrofani, legale di Davide Stival, marito della donna ritenuta responsabile dell’uccisione del figlio Lorys, trovato cadavere il 29 novembre 2014 in un canalone di contrada Mulino Vecchio, a Santa Croce Camerina.
Il riferimento dell’avvocato va alla reazione che Panarello ha avuto alla lettura della sentenza, con i giudici che non hanno concesso le attenuanti dopo avere stabilito che la donna è capace di intendere e di volere. «Sei contento? È tutta colpa tua, ma ti ammazzo con le mie mani quando esco. Da adesso sconti non ce ne saranno più per nessuno: dato che non ho avuto giustizia, la giustizia me la farò da sola e quando uscirò dal carcere lo ucciderò», ha detto l’imputata, rivolgendosi al suocero Andrea Stival. L’uomo, infatti, è stato tirato in ballo da Panarello che ha sempre sostenuto che a uccidere il bambino sarebbe stato il nonno, in seguito alla scoperta di una presunta relazione tra suocero e nuora.
Per i giudici, invece, Lorys sarebbe stato ucciso verosimilmente per il rifiuto di andare a scuola, poiché la mattina dell’omicidio era prevista una lezione a lui poco gradita. «Panarello ha modificato le proprie versioni sulla base delle acquisizioni probatorie – commenta l’avvocato Scrofani -. Ha fatto da specchio alle indagini, approfittando delle notizie che aveva delle indagini per darci le informazioni». In un primo tempo, per esempio, la donna ha raccontato che le fascette usate per l’omicidio sarebbero in realtà entrate in contatto con Lorys per un incidente. Ricostruzione che, temendo che non sarebbe stata ritenuta verosimile, l’avrebbe spinta a gettare il figlio nel canalone. «Quando parla di questa ipotesi – spiega Giuseppe Iuvara, il medico legale che si è occupato dell’autopsia sul cadavere – dice che il bambino se l’è serrata da sola la fascetta e lei ha trovato il figlio raggomitolato a terra. Dal punto di vista medico-legale è impossibile perché quando una persona va in asfissia, il muscolo non si rilassa e quindi il corpo non si accartoccia ma piuttosto comincia a dare scosse tonico-cloniche».
Iuvara parla poi del presunto coinvolgimento di Andrea Stival sulla scena dell’omicidio: «Non sono state trovate tracce del suocero sul corpo del bambino». Non sarebbe stato un delitto premeditato, bensì compiuto con dolo d’impeto, spinto da un incontrollabile impulso che l’avrebbe indotta successivamente a gettare il corpo. La morte di Lorys è lenta. «In termini tecnici si chiama morte lentamente agonica – puntualizza Iuvara – Dura più di un minuto. Ciò fa capire che la donna avrebbe potuto evitare il decesso, tagliando le fascette, se ne fosse stata pentita». Pentimento che invece non ci sarebbe stato non solo la mattina del 29 novembre di quattro anni fa, ma anche nel corso del processo di primo grado. Con i giudici che hanno ritenuto la condotta della donna «deplorevole, reiteratamente menzognera, calunniosa, manipolatrice».
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